sabato 28 gennaio 2012

Storia pettegola del Risorgimento italiano

Lorenzo Del Boca, Indietro Savoia!, Piemme, 2004, p. 281, € 7,90.
Indietro Savoia! è uno dei peggiori libri che io abbia mai letto. Pubblicando per le Edizioni Piemme (che credo siano d'ispirazione cattolica) Lorenzo Del Boca si lascia andare ad un'interpretazione del Risorgimento che, più che controcorrente, risulta pettegola: un capitolo s'intitola addirittura La diplomazia nelle mutande. Lungi dal contestare i fatti riportati alla luce dall'autore (che pur ne tace altri di segno opposto), è l'impostazione che disturba, tutta tesa a gettare nel fango i Savoia e tutti coloro che collaborarono all'unità d'Italia (compresi Cavour, Garibaldi e Mazzini, persone di tendenze diversissime, ma ammucchiate da Del Boca in unico infernale calderone), per rivalutare, se non esaltare - e qui casca veramente l'asino - figure del calibro di Pio IX e Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, ricordato con l'appellativo di Franceschiello. Stando a quanto ci racconta Del Boca, prima dell'annessione al regno sabaudo, il Sud d'Italia era una specie di paese del ben godi, ben governato, dove tutti viveano d'amore e d'accordo sotto la mano generosa e benevola del Borbone, così come accadeva nello Stato Pontificio, governato con illuminata sagacia da papa Mastai Ferretti. La "questione meridionale" sarebbe addirittura nata con l'unità d'Italia: se dal punto di vista geografico, questa può essere un'affermazione condivisibile (nel senso che, essendo un regno a sé stante, non poteva certo chiamarsi "meridionale" una questione che lo riguardasse), dal punto di vista storico mi pare una solenne castroneria, a meno che non si voglia negare che, specialmente in certe regioni rurali vigeva ancora una sorta di regime feudale, soprattutto nella gestione delle terre, per gran parte organizzate in latifondo. Si potrebbe a lungo obiettare su singole affermazioni contenute nel libro, alcune pleonastiche (Carlo Alberto era perennemente indeciso? che scoperta, gli alunni della quinta elementare sanno che era noto con il nomignolo di "Re Tentenna"), altre incomprensibili e di cattivo gusto, come l'insistenza sull'artrite di Garibaldi, costretto a farsi trasportare a cavacecio dal suo aiutante uruguayano Ignazio Bueno. Così come si potrebbe obiettare su altre affermazioni, che non sembrano, neanche nel linguaggio, propriamente da storici degni di questo nome (e poco anche da seri divulgatori), come questa "È, però, certo che le guerre d'Indipendenza le pagarono i frati, i preti e le suore con i loro beni e con i loro sacrifici. Sostenevano - i liberaloni di allora - che il clero doveva limitarsi al potere sullo spirito e sulle anime e che, dunque, per conseguenza logica, non doveva avere nemmeno un tetto sopra la testa" (p. 138) o come questo giudizio sul Conte di Cavour: "Presidente del Consiglio era Massimo d'Azeglio, ma il rampante del Governo si chiamava Camillo Benso, conte di Cavour, che era un impiccione di genio, un secchione con la testa sempre fra le carte, preparatissimo su ogni questione e tanto puntiglioso da intervenire, alla Camera, anche sette o otto volte per rispondere alla più piccola contestazione". È linguaggio da storico, questo? La cosa più fastidiosa è, però, il sospetto che l'autore di questo libro voglia utilizzare la materia per squallidi scopi di polemica politica legati all'Italia d'oggidì, come farebbero pensare le accuse al governo D'Alema per la "Missione Arcobaleno" (ditemi voi cosa c'entra con il Risorgimento), le critiche alla tassa di successione (cavallo di battaglia berlusconiano nella campagna elettorale del 2001), o altre frasi che rappresentano vere e proprie perle di comicità involontaria, per chi sappia apprezzarle, sulla presunta sinistra parlamentare che gridava "morte al Papa", mentre il centro si schierava a difesa del Santo Padre. In questo senso, il libro di Del Boca, oltre a contenere passi che possono far arrabbiare, come il paragone tra Cavour (per la scelta cinica di mandare a morire i Bersaglieri in Crimea) e Mussolini che, scendendo in guerra al fianco di Hitler (dice niente questo nome?), attaccò proditoriamente la Francia nel giugno del 1940, quando i tedeschi erano già a Parigi, o l'affermazione secondo la quale "Le SS dell'Ottocento indossavano la divisa dell'esercito del Piemonte" (p. 232), proporne anche ipotesi fantasiose, come quella secondo cui la scelta di Roma capitale passò attraverso una specie di bega regionale che vide come candidata anche Napoli, poiché "i piemontesi, scontenti di aver perduto il ruolo di prima città [si noti l'anacoluto, n.d.r.] per togliere quel privilegio ai fiorentini, con i quali non avevano mai simpatizzato, avrebbero potuto accordarsi con i meridionali e scendere più a sud" (p. 244), che riescono a mettere, nonostante la rabbia per i soldi spesi inutilmente, di buonumore.

P.S. Riporto un commento che mi fu fatto all'epoca della pubblicazione di questo post sul blog microonde sulla piattaforma splinder, con la mia risposta.

#1 Che i vincitori abbiano scritto i libri di storia, questo è un fatto. Che qualcuno tenti di rimettere le cose più in equilibrio è grande merito. Chi non è d'accordo , tiri fuori dei DOCUMENTI VERI che smentiscano le affermazioni (molte di diplomatici stranieri). Renato Sironi

#2 Qui non si tratta di essere d'accordo o meno con Del Boca. Del resto. esistono intere biblioteche capaci, da sole, di mettere in ridicolo almeno una buona metà delle affermazioni dell'autore. E' chiaro che ognuno è libero di scrivere quel che vuole (io posso solo rammaricarmi di avere speso soldi per un'operazione del genere), ma se è discutibile la finalità per cui il libro è stato scritto, mi pare ancora più fazioso il metodo: pare, infatti, sfuggire al commentatore che anche all'epoca dei Savoia c'erano osservatori tutt'altro che imparziali, compresi gli ambasciatori stranieri. Le fonti citate da Del Boca, infatti, mi sembrano poche e, in alcuni casi, niente affatto cristalline.
Utente: Sasso67Sasso67


Nessun commento:

Posta un commento