lunedì 16 gennaio 2012

Luca Telese, Cuori neri, Sperling & Kupfer, 2006, pp. 796 ill., € 18,00
Al di là dell'argomento trattato e al di là della forma - che, secondo me, avrebbe potuto essere migliore - quello che piace di questo libro è la morale finale che ne emerge. La quale potrà anche essere tacciata di buonismo, ma oggi, nel 2006, è eticamente e politicamente inoppugnabile. E si può sintetizzare in questa frase che Telese pone alla fine del suo monumentale libro (p. 764):«Siamo stati, non molto tempo fa, talebani anche noi. E il nostro fanatismo di allora non ha nulla da invidiare a quello che ci piace contestare agli altri oggi. Cambiano i soggetti contro cui sono rivolte, non gli strumenti intellettuali con cui vengono forgiate le armi dell'odio».
Al di là delle polemiche sterili sul fatto che sia necessario anche un libro sulle vittime "di sinistra" degli anni di piombo (e probabilmente ve ne sono), va detto che questo libro era innanzitutto doveroso, in primo luogo verso la memoria degli stessi morti (non li chiamerei né caduti né martiri) e verso le loro famiglie che in tutti questi anni hanno vissuto il dolore di una perdita (o più, come nel caso dei Mattei di Primavalle) che non potevano nemmeno ricordare senza essere vittima dell'indifferenza degli avversari politici oppure della strumentalizzazione da parte degli "amici".
Se la forma lascia alquanto a desiderare, la lettura di Cuori neri, che, come al solito, non mancherà di suscitare polemiche a destra come a sinistra, è interessantissima, anche perché porta finalmente a conoscenza di un pubblico vasto eventi che per decenni sono rimasti patrimonio esclusivo di piccole comunità anche abbastanza chiuse, unite dal grido "Presente!" ad ogni anniversario.
Cuori neri elenca, uno dopo l'altro, i nomi di ventuno vittime accomunate dalla militanza o anche soltanto dalla simpatia per le formazioni politiche di destra. In alcuni casi, addirittura questa militanza è messa in dubbio dagli stessi familiari: esemplare, ma non è l'unico, il caso del greco Mikis Mantakas. Ci sono casi più noti (Ramelli, Acca Larentia) ed altri meno, alcuni più atroci degli altri (Primavalle tra tutti), ma tutti tragici e probabilmente inutili, essenzialmente perché tutte queste morti erano evitabili ed hanno rovinato una serie di altre vite: quelle dei familiari così come quelle degli assassini, anche se troppo spesso questi omicidi sono rimasti impuniti. Un altro rischio del libro di Telese è quello, ben presente all'autore, di fare di questi morti dei santini, di renderli tutti buoni e perfino poco fascisti; e amio parere, nonostante tutto, nonostante anche quello che dice uno che buono non ha mai preteso di essere come Giusva Fioravanti a proposito di Alberto Giaquinto, una delle vittime («Se fosse sopravvissuto, Alberto avrebbe sicuramente seguito tutto il destino dei Nar»), a mio parere qualche voltaTelese in questo processo di beatificazione ci cade. E forse era inevitabile. Certo, fa forse perfino più male leggere quello che scrivevano alcune personalità storiche della sinistra (Dario Fo, Franca Rame, gli avvocati di Soccorso rosso come Spazzali e Pecorella, la testata Lotta continua di Sofri) per giustificare le uccisioni dei fascisti e per scagionare gli extraparlamentari di sinistra accusati degli omicidi. Fino a che, per fortuna, i tempi cambiano, e qualche politico e giornalista coraggiosi (il comunista Antonello Trombadori ai tempi di Acca Larentia, Giampaolo Pansa, Eugenio Scalfari, fino alla presa di posizione di Andrea Marcenaro di Lotta continua) cominciano a far notare che gli omicidi sono tali anche quando riguardano i fascisti e che la lotta armata è sbagliata a priori e destinata ad una impietosa sconfitta.
Personalmente, le storie che più mi hanno colpito sono quelle del rogo di Primavalle, dell'omicidio di Sergio Ramelli (anche per le implicazioni che mi riportano ai tempi dell'ultimo anno di liceo, quando furono arrestati e processati i suoi assassini), i fatti di Acca Larentia per l'assurdità soprattutto della morte di Stefano Recchioni, ma anche quella di Nanni De Angelis (un'altra morte assurda, forse addirittura per errore) e quella di Paolo Di Nella, l'ultimo della lista, per fortuna ventitre anni fa.

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