mercoledì 9 gennaio 2013

Friedrich Dürrenmatt, Romolo il Grande, Marcos y Marcos, 2006, pp. 145, € 11,00.
Nel 476 d. C., Odoacre, re degli Eruli, depose Romolo Augustolo, ultimo debole imperatore d'Occidente. Termina quasi sempre così il capitolo dei libri di storia, dedicato alla caduta dell'Impero romano d'Occidente.
Sul capovolgimento di questo assunto - cioè che Romolo Augustolo fosse un sovrano debole - si basa questo dramma storico senza storia di Dürrenmatt. Dove il protagonista del dramma diventa anche protagonista della Storia. Presentato come un sovrano ignavo, perfetto esempio della decadenza dell'impero e causa finale della sua caduta, via via che si susseguono gli atti della pièce, l'ultimo imperatore fa capire come ci sia del metodo nella sua (presunta) follia. Avendo compreso la natura perversa e violenta dell'Impero Romano (e del potere in generale, nonché della sua retorica, dice l'Autore fuor di metafora: «proprio della patria bisogna sempre diffidare. A nessuno riesce così facile uccidere come alla patria.»), Romolo decide di sabotare deliberatamente dall'interno le fondamenta e le istituzioni, in modo che coloro che arriveranno - i popoli germanici, contraddistinti dall'uso dei pantaloni - non avranno che da far crollare un castello di carte. E il supremo sacrificio sarà quello dell'imperatore stesso. che accetterà la morte per mano del re dei nuovi barbari. Ma non andrà così: mentre Romolo attende la glorificazione, tramite l'offerta della propria vita (o meglio: accetta di morire, come evento inevitabile), da parte di questi guerrieri di stirpe germanica, Odoacre si aspetta la legittimazione da parte dell'ultimo imperatore d'Occidente. Prima di mettere fine al suo potere, ma senza spargimento di sangue. Infatti il re degli Eruli offre a Romolo salva la vita e un vitalizio, che questi accetta, dimostrando con tale gesto - sono parole dello stesso Dürrenmatt - la propria grandezza.
Forzando in più punti il dato storico (Romolo Augustolo, nel 476, non era che un imberbe quattordicenne e non aveva figlie in età da marito, né la deposizione dell'imperatore avvenne nella data, pur simbolica, delle idi di marzo, ecc.), Dürrenmatt propone un racconto verosimile, che brilla come un'acuta riflessione sul potere e in particolare su come sia talvolta doveroso sottrarsi agli assurdi e ottusi obblighi che esso impone.