domenica 10 gennaio 2016

Enrico Brizzi, La nostra guerra (2009)

Enrico Brizzi, La nostra guerra, Dalai Editore, 2009, p. 640, € 10,00.

Trattandosi di un antefatto, o prequel, di L'inattesa piega degli eventi (2008), precedente romanzo di Enrico Brizzi, la trama di La nostra guerra è in qualche modo obbligata ad incanalarsi affinché siano possibili e plausibili le vicende narrate nel romanzo uscito prima, benché relativo a una materia cronologicamente successiva. Tuttavia, mi sembra che tra i punti salienti della narrazione pseudo storica di Brizzi si possa rinvenire la convinzione, legittima in uno scrittore di finzione, che, per ragioni storiche, politiche, o puramente geografiche, il coinvolgimento dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale fosse comunque inevitabile. Quindi, anche se nel 1940 Mussolini non avesse dichiarato guerra alla Francia e all'Inghilterra, gettandosi nel conflitto al fianco della Germania nazista, sarebbe stato ugualmente impossibile tenere indenne la penisola dal coinvolgimento bellico. Tanto è vero che, in questa fantastoria - o ucronia - l'Italia fascista, dichiarata la propria neutralità, riceve nel 1942 l'ultimatum tedesco ad aprirsi alle armate della Wehrmacht quale cuneo verso il Mar Mediterraneo. Spalleggiata dagli alleati anglo americani (ossia da Cercillone e Rusveltaccio, come li chiama dispregiativamente Mussolini), l'Italia oppone un rifiuto a Hitler e viene prontamente invasa dalle truppe germaniche.
Rivelatasi militarmente impreparato anche nella finzione romanzesca (ma qui non serviva grandissima fantasia), l'esercito italiano riesce ad organizzare una difesa - la cosiddetta "Linea Scipio" - soltanto sulla dorsale dell'Appennino Tosco-Emiliano, di modo che l'Italia Settentrionale cade interamente sotto l'occupazione tedesca, inclusa la città di Bologna, che è quella del giovanissimo protagonista, costretto con la propria famiglia a sfollare in Toscana.
La seconda linea portante di La nostra guerra è infatti quella del romanzo di formazione, che vede come protagonista Lorenzo Pellegrini, dodicenne, figlio di un avvocato bolognese fascistissimo, il quale consuma la prima parte della propria adolescenza durante la guerra e i suoi disastri. Scoprirà ben presto l'infedeltà coniugale del padre, ma anche che i genitori non sono sposati e perfino che la mamma non è sua madre, la quale è invece deceduta nel metterlo al mondo. Il ragazzino scoprirà anche l'amore, il sesso e l'amaro sapore della morte e della perdita. Peccato che questo versante sia quello meno riuscito del romanzo, condotto da Brizzi secondo schemi logori da film per l'infanzia, senza un briciolo di inventiva, per rivitalizzare i luoghi comuni del genere.
Altro elemento che sembra stare a cuore allo scrittore è mostrare l'eterno ed immutabile carattere degli italiani, campanilisti, approfittatori, cortigiani e ruffiani. Rispetto ai luoghi comuni della descrizione italica, manca soltanto la vigliaccheria, qui vinta dallo slancio vitalistico imposto da vent'anni di regime fascista e di relativo indottrinamento. E poi, se nella realtà del dopoguerra molti italiani furono assai bravi a cambiare le loro vecchie camicie nere in camicie bianche o addirittura rosse, in questa finzione in cui i fascisti vincono la guerra, è ancora più semplice per molti rimanere sulla cresta dell'onda, senza bisogno di capriole. Così, nel temporaneo esilio della famiglia Pellegrini in provincia d'Arezzo, emergono le figure di Amintore Fanfani e di Licio Gelli, entrambi bene inseriti nei ranghi del PNF. Non so nei seguiti temporali del romanzo di Brizzi, ma nella realtà si sarebbe ancora sentito, e tanto, parlare di loro.
In conclusione, direi che La nostra guerra parte da un'idea interessante - già utilizzata, per esempio, da Philip K. Dick in La svastica sul sole - e per larghi tratti è persino piacevole da leggere, anche perché un po' di mestiere Brizzi ce l'ha. Tuttavia, il romanzo sconta alcuni difetti tipici dei prodotti non migliori di questo genere, tra cui il destare interesse per gli sviluppi della vicenda nata da una sliding door della storia (dopo la guerra l'Italia diventa una potenza coloniale in danno della Francia, punita per la collaborazione del governo di Vichy con Hitler), ma perde mordente nel racconto delle vicende personali e private del protagonista, la cui figura, a causa di qualche stereotipo di troppo, resta tutto sommato scialba e poco incisiva.