Enrico Brizzi, La nostra guerra, Dalai Editore, 2009, p. 640, € 10,00.
Trattandosi di un antefatto, o prequel, di L'inattesa piega
degli eventi (2008), precedente romanzo di Enrico Brizzi, la trama di La
nostra guerra è in qualche modo obbligata ad incanalarsi affinché siano
possibili e plausibili le vicende narrate nel romanzo uscito prima, benché
relativo a una materia cronologicamente successiva. Tuttavia, mi sembra che tra
i punti salienti della narrazione pseudo storica di Brizzi si possa rinvenire la convinzione, legittima in uno
scrittore di finzione, che, per ragioni storiche, politiche, o puramente
geografiche, il coinvolgimento dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale fosse
comunque inevitabile. Quindi, anche se nel 1940 Mussolini non avesse dichiarato
guerra alla Francia e all'Inghilterra, gettandosi nel conflitto al fianco della
Germania nazista, sarebbe stato ugualmente impossibile tenere indenne la
penisola dal coinvolgimento bellico. Tanto è vero che, in questa fantastoria -
o ucronia - l'Italia fascista, dichiarata la propria neutralità, riceve nel
1942 l'ultimatum tedesco ad aprirsi alle armate della Wehrmacht quale cuneo
verso il Mar Mediterraneo. Spalleggiata dagli alleati anglo americani (ossia da
Cercillone e Rusveltaccio, come li chiama dispregiativamente Mussolini),
l'Italia oppone un rifiuto a Hitler e viene prontamente invasa dalle truppe
germaniche.
Rivelatasi militarmente impreparato anche nella
finzione romanzesca (ma qui non serviva grandissima fantasia), l'esercito
italiano riesce ad organizzare una difesa - la cosiddetta "Linea
Scipio" - soltanto sulla dorsale dell'Appennino Tosco-Emiliano, di modo
che l'Italia Settentrionale cade interamente sotto l'occupazione tedesca,
inclusa la città di Bologna, che è quella del giovanissimo protagonista,
costretto con la propria famiglia a sfollare in Toscana.
La seconda linea portante di La nostra guerra è
infatti quella del romanzo di formazione, che vede come protagonista Lorenzo
Pellegrini, dodicenne, figlio di un avvocato bolognese fascistissimo, il quale
consuma la prima parte della propria adolescenza durante la guerra e i suoi
disastri. Scoprirà ben presto l'infedeltà coniugale del padre, ma anche che i
genitori non sono sposati e perfino che la mamma non è sua madre, la quale è
invece deceduta nel metterlo al mondo. Il ragazzino scoprirà anche l'amore, il
sesso e l'amaro sapore della morte e della perdita. Peccato che questo versante
sia quello meno riuscito del romanzo, condotto da Brizzi secondo schemi logori da film per l'infanzia, senza un
briciolo di inventiva, per rivitalizzare i luoghi comuni del genere.
Altro elemento che sembra stare a cuore allo
scrittore è mostrare l'eterno ed immutabile carattere degli italiani,
campanilisti, approfittatori, cortigiani e ruffiani. Rispetto ai luoghi comuni
della descrizione italica, manca soltanto la vigliaccheria, qui vinta dallo
slancio vitalistico imposto da vent'anni di regime fascista e di relativo
indottrinamento. E poi, se nella realtà del dopoguerra molti italiani furono
assai bravi a cambiare le loro vecchie camicie nere in camicie bianche o
addirittura rosse, in questa finzione in cui i fascisti vincono la guerra, è
ancora più semplice per molti rimanere sulla cresta dell'onda, senza bisogno di
capriole. Così, nel temporaneo esilio della famiglia Pellegrini in provincia
d'Arezzo, emergono le figure di Amintore Fanfani e di Licio Gelli, entrambi bene
inseriti nei ranghi del PNF. Non so nei seguiti temporali del romanzo di
Brizzi, ma nella realtà si sarebbe ancora sentito, e tanto, parlare di loro.
In conclusione, direi
che La nostra guerra parte da un'idea
interessante - già utilizzata, per esempio, da Philip K. Dick in La svastica
sul sole - e per larghi tratti è persino piacevole da leggere, anche perché
un po' di mestiere Brizzi ce l'ha.
Tuttavia, il romanzo sconta alcuni difetti tipici dei prodotti non migliori di
questo genere, tra cui il destare interesse per gli sviluppi della vicenda nata
da una sliding door della storia
(dopo la guerra l'Italia diventa una potenza coloniale in danno della Francia,
punita per la collaborazione del governo di Vichy con Hitler), ma perde
mordente nel racconto delle vicende personali e private del protagonista, la
cui figura, a causa di qualche stereotipo di troppo, resta tutto sommato
scialba e poco incisiva.