lunedì 27 maggio 2013

Patria 1978 - 2010

Enrico Deaglio (e Andrea Gentile), Patria 1978 - 2010, 2010, Il Saggiatore Tascabili, pp. 1035, € 14,90

La storia di questo libro di Deaglio inizia nel 1978, l'anno del sequestro e dell'omicidio di Aldo Moro e dei Campionati Mondiali di calcio nell'Argentina di Videla (recentemente scomparso, ironicamente ed eufemisticamente ricordato da qualcuno come l'uomo che da solo vinse un mondiale di calcio), ma sarebbe potuto iniziare con il 1969 di Piazza Fontana. Dall'anno di Moro, fino al 2010 in cui scoppiano i primi scandali "sessuali" di Berlusconi (Noemi Letizia, Ruby Rubacuori ecc.), è un rosario di eventi di cui l'Italia e il suo popolo sono spesso sia attoniti spettatori che protagonisti. Deaglio non ha dovuto inventare proprio niente: tutto sommato, si è limitato a fornire un elenco, ragionato e commentato, dei fatti e misfatti italiani dei trentatré anni presi in esame dal libro. L'autore, con la valida collaborazione del giovane Andrea Gentile, ha aggiunto soltanto indicazioni bibliografiche, discografiche (per ogni anno è indicato un cantante con una canzone particolarmente significativa) e filmografiche (Deaglio è autore di validi documentari sulle res gestae berlusconiane come Quando c'era Silvio e Uccidete la democrazia!, entrambi del 2006). Questo libro, genialmente definito da Michele Serra «un breviario terrificante da tenere sul comodino», snocciola davanti agli occhi attoniti del lettore, quasi incapace di rendersi conto che simili cose siano potute accadere, nei nostri tempi, nel nostro paese, eventi di cui gli Italiani - spesso colpevoli o almeno complici delle malefatte narrate - si dovrebbero vergognare davanti al mondo.
Patria è un libro che si legge avidamente pagina dopo pagina, anche se è noto il tragicomico finale, ma soprattutto è un testo necessario a chi voglia rendersi conto che un popolo il quale, dopo quasi mezzo secolo di regime democristiano, si affida a Berlusconi non può certo dirsi innocente o vittima degli strali del Fato.

venerdì 24 maggio 2013

Bartleby lo scrivano

Herman Melville, Bartleby lo scrivano, BCD, 2012, pp. 68, € 5,90

Fulminante e geniale racconto lungo (una cinquantina/sessanta pagine), uscito nel 1853, di Herman Melville, che sembra la narrazione di un caso di scuola, ma è probabilmente la metafora di una condizione personale dello scrittore stesso. Quella, cioè, di un autore, già affermato ma di difficoltoso successo, che, a chi lo spingeva a pubblicare testi che potessero trovare maggiore successo da parte dei lettori, se non a lanciarsi nel mondo più redditizio degli affari, rispondeva semplicemente, senza ulteriori spiegazioni, come Bartleby, «preferirei di no».
Questa semplicissima chiave di lettura (fornita, tra gli altri, da Lewis Mumford) rende ancora più geniale un racconto peraltro scritto benissimo.



sabato 18 maggio 2013

La via del tabacco

Erskine Caldwell, La via del tabacco, Fazi, 2011, pp. 217, € 18,50.

L'America profonda della Grande Depressione, dove una miseria atavica, aggravata dalle conseguenze del crac del '29, sembra essersi insinuata nel patrimonio genetico di alcune persone, come i disgraziati membri superstiti della famiglia Lester (o almeno di quelli che continuano a stazionare nei pressi della catapecchia che fu di loro proprietà).
L'estremo realismo di Caldwell sfocia spesso nel grottesco (con un atteggiamento di compassione critica che ricorda quello che sarà adottato dal Pasolini dei suoi romanzi migliori, come Ragazzi di vita e Una vita violenta), come se l'autore stesso volesse soprattutto parodiare la letteratura di derivazione ottocentesca, laddove essa tendeva a idealizzare gli stati del Sud - come la Georgia di La via del tabacco - con la loro presunta tradizione di cavalleria e di eleganza, contrapposte al rozzo pragmatismo degli stati del Nord e del West.
In questo modo, Caldwell raggiunge spesso, oltre allo scandalo per l'audacia delle descrizioni e per la ferocia della critica sociale (con uno Stato del tutto assente, che lascia i propri cittadini nella miseria e nell'ignoranza più totale), vette che non molti altri scrittori americani di quel periodo hanno saputo toccare e che fanno di La via del tabacco un capolavoro.

venerdì 10 maggio 2013

Ancora sul caso di Emanuela Orlandi

Ieri, giovedì 9 maggio 2013, La Repubblica ha dedicato tre paginone centrali al caso, mai risolto, della scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana quindicenne, avvenuta ormai trent'anni fa. Si legge il primo articolo dedicato all'argomento, firmato Paolo Rodari, e cascano letteralmente le braccia. Il pezzo, che indica come luogo di provenienza la Città del Vaticano, riporta inopinatamente in auge la pista del terrorismo internazionale. Il giornalista riporta dichiarazioni provenienti da una fonte anonima (e sai che autorevolezza, che novità, in questo caso!), proveniente proprio dall'interno del Vaticano. Scrive Rodari: «A sorpresa è proprio un monsignore del Vaticano che intende restare anonimo a entrare con lucidità entro il mistero. Lo fa trent'anni dopo». Di fronte ad affermazioni e/o informazioni di questo genere, verrebbe da esclamare: quale sorpresa! Quale coraggio! Quanto tempismo! Ma non basta, perché il pezzo pubblicato da Repubblica continuando a citare l'anonimo vaticano del sublime: «Lo fa senza avere scoop da rivelare. Ma mostrando semplicemente una capacità unica di tirare le fila. Dice: "Giovanni Paolo II qualche mese dopo la scomparsa di Emanuela disse agli Orlandi che si trattava di un caso di terrorismo internazionale. Che sia così, ne siamo tutti convinti, ma la domanda resta una: cosa intendeva il papa per terrorismo internazionale? Sono in molti oltre il Tevere a ritenere che la scomparsa sia legata alla Banda della Magliana e insieme ad ambienti malavitosi italiani». Tutto si fa, pur di allontanare i sospetti dall'interno del Vaticano. La pista del terrorismo internazionale fu creata per ingarbugliare le carte, da persone legate alla scomparsa di Emanuela ed anche da altri soggetti esterni (leggasi Stasi), interessati a creare caos nel campo occidentale. L'impressione è che l'anonimo del sublime sia l'ennesima voce poco intenzionata a far emergere la verità.
Presterei maggiore attenzione a quanto emerso, invece, dopo che un signore, attraverso la trasmissione televisiva di Raitre Chi l'ha visto? ha fatto ritrovare un flauto, che potrebbe essere quello appartenuto ad Emanuela Orlandi e che la ragazza aveva con sé proprio al momento della scomparsa. Anche di questi sviluppi parla Rodari, riportando il fatto che questo signore, di nome Marco Accetti, «recentemente si è autoaccusato di essere stato uno dei telefonisti del caso Orlandi». Per di più, questo Accetti era stato protagonista, sempre nel 1983, di un altro oscuro episodio culminato con la morte di un ragazzino di dodici anni, a Roma, episodio di cui si è occupata la puntata di Chi l'ha visto? dell'8 maggio 2013.
Per fortuna, direi, sullo stesso numero di Repubblica, tira le fila del caso il romanziere e magistrato Giancarlo De Cataldo, riducendo le ipotesi possibili per la scomparsa di Emanuela a due sole, scartando definitivamente quella del "terrorismo internazionale": la cosiddetta "pista Nicotri" (dal nome del giornalista Pino Nicotri, che ipotizza una Emanuela rimasta vittima di un gioco erotico all'interno del Vaticano) o quella della banda della Magliana (Emanuela rapita come arma di pressione nei confronti dello spregiudicato finanziere vaticano Paul Marcinkus, per somme mai restituite). A questa seconda ipotesi, che avrebbe avuto come corollario la sepoltura di "Renatino" De Pedis nella Basilica romana di Sant'Apollinare (quale risarcimento postumo per somme di denaro mai restituite dal Vaticano ai malavitosi), personalmente, non credo.
Restano due fatti inoppugnabili: Ali Agca non c'entra niente con la scomparsa di Emanuela Orlandi e gli dovrebbe essere impedito di parlare ancora della vicenda, anche perché finora non ha fatto che inquinare e depistare; secondo, la verità è sepolta e dev'essere ricercata in Vaticano: e la speranza, che è sempre l'ultima a morire, ma è forse anche l'ultima possibile, si chiama oggi Jorge Mario Bergoglio, alias Francesco I.