martedì 29 marzo 2016

Flying Colours (Greg Russo)

Greg Russo, Flying Colours, Arcana, 2015, p. 493.

Leggere un libro sui Jethro Tull, per me, significa ripercorrere una parte della mia vita. Per quanto interessanti, non è come leggere un romanzo o un libro di storia, che pure hanno un grande valore per chiunque, perché quando si legge un libro è inevitabile prendere a punto di riferimento alcuni elementi della propria vita interiore ed esteriore.
Ho conosciuto i Jethro Tull quando avevo 17/18 anni e questo gruppo da allora ha accompagnato la mia vita in molte delle sue fasi. Qualche giorno fa, parlando con un compagno di pendolarismo, dicevo che ho ascoltato talmente tanto i Jethro Tull da allora che mi sono venuti a noia. E invece devo dire che non è vero, e me ne sono accorto anche sulla scorta della biografia - il manuale, com'è scritto sulla copertina - dei Jethro Tull.
Leggendo un libro come questo di Greg Russo, si percorrono due distinti binari, quello autobiografico e un altro, che dà voce ai Jethro Tull stessi, perché parla delle canzoni e della musica, il mezzo espressivo che meglio di ogni altra cosa esprime il mondo di un gruppo rock.
Dal primo punto di vista, per chi è nato nel 1967, è forte la tentazione di ripercorrere in parallelo la propria vita con la carriera di una band formatasi nel 1968, anche perché l'autore di Flying Colours si premura di iniziare il racconto ben prima dell'adozione ufficiale del nome ispirato ad un agronomo inglese del XVII - XVIII secolo. Quindi si seguono i primi incerti passi, i primi album e le tournée, i cambi di formazione, i successi, le critiche, le gioie e i dolori che inevitabilmente più di quaranta anni di storia portano con sé (il libro in questione era stato originariamente scritto nel 1999 ed è stato aggiornato da ultimo nel 2009).
Per quanto mi riguarda, ho iniziato a seguire la band di Ian Anderson nel periodo immediatamente successivo all'uscita di Under Wraps (1984), che per me resta senza dubbio l'album più brutto del gruppo britannico. Ma, ovviamente, il primo colpo di fulmine fu quello per Aqualung (1971), poi per Thick as a Brick (1972) e poi per tutti gli altri album, tra i quali ognuno ha i propri preferiti.
Poi c'è l'altro aspetto, quello delle canzoni, della loro origine e del loro significato, da Serenade to a Cuckoo ad Aqualung, da Cat's Squirrell a Dun Ringill. Perché, come dicevo, la voce di un gruppo rock non può che essere data dalle loro canzoni. E questo vale soprattutto per una band la cui biografia non prevede eventi eclatanti: Ian Anderson e i compagni non hanno fatto uso sistematico di droghe (anzi, in generale, sono piuttosto salutisti) e solo moderate quantità di alcol e sigarette hanno accompagnato alcuni dei musicisti della band. Gli unici eventi che segnano in negativo la storia dei Jethro Tull sono la morte del terzo bassista John Glascock, condannato da un'infezione dentale che andò ad incidere su una malformazione cardiaca e il cambio di sesso del pianista e arrangiatore David Palmer che, dopo il decesso della moglie, acquisì una nuova identità con il nome di Dee Palmer.
A questo punto, dato che la narrazione del libro si arresta al 2009 e quindi non ci può aiutare, resta solo da capire se i Jethro Tull esistano ancora oppure no. Il sito Wikipedia dà la band defunta nel 2014, come si poteva arguire, a suo tempo, dalla pubblicazione dell'album Thick as a Brick 2, intitolato a «Jethro Tull's Ian Anderson». Neppure il sito web ufficiale dei Jethro Tull dissipa tutti i dubbi, lasciando aperto uno spiraglio alla sussistenza della band, anche se i membri attuali sembrano oramai dei prestatori d'opera al servizio dell'inossidabile Ian Anderson che, per la cronaca, è nato esattamente venti anni prima di me. Ecco perché mi è sempre rimasto simpatico.