Greg Russo, Flying Colours, Arcana, 2015, p. 493.
Leggere un libro sui Jethro Tull, per me, significa
ripercorrere una parte della mia vita. Per quanto interessanti, non è come
leggere un romanzo o un libro di storia, che pure hanno un grande valore per
chiunque, perché quando si legge un libro è inevitabile prendere a punto di
riferimento alcuni elementi della propria vita interiore ed esteriore.
Ho conosciuto i Jethro Tull quando avevo 17/18 anni e
questo gruppo da allora ha accompagnato la mia vita in molte delle sue fasi.
Qualche giorno fa, parlando con un compagno di pendolarismo, dicevo che ho
ascoltato talmente tanto i Jethro Tull da allora che mi sono venuti a noia. E invece devo
dire che non è vero, e me ne sono accorto anche sulla scorta della biografia -
il manuale, com'è scritto sulla copertina - dei Jethro Tull.
Leggendo un libro come questo di Greg Russo, si percorrono due distinti
binari, quello autobiografico e un altro, che dà voce ai Jethro Tull stessi, perché parla delle canzoni e della musica, il
mezzo espressivo che meglio di ogni altra cosa esprime il mondo di un gruppo
rock.
Dal primo punto di vista, per chi
è nato nel 1967, è forte la tentazione di ripercorrere in parallelo la propria
vita con la carriera di una band formatasi nel 1968, anche perché l'autore di Flying Colours si premura di iniziare il
racconto ben prima dell'adozione ufficiale del nome ispirato ad un agronomo
inglese del XVII - XVIII secolo. Quindi si seguono i primi incerti passi, i
primi album e le tournée, i cambi di formazione, i successi, le critiche, le
gioie e i dolori che inevitabilmente più di quaranta anni di storia portano con
sé (il libro in questione era stato originariamente scritto nel 1999 ed è stato
aggiornato da ultimo nel 2009).
Per quanto mi riguarda, ho
iniziato a seguire la band di Ian
Anderson nel periodo immediatamente successivo all'uscita di Under
Wraps (1984), che per me resta senza dubbio l'album più brutto del
gruppo britannico. Ma, ovviamente, il primo colpo di fulmine fu quello per Aqualung
(1971), poi per Thick as a Brick (1972) e poi per tutti gli altri album, tra i
quali ognuno ha i propri preferiti.
Poi c'è l'altro aspetto, quello
delle canzoni, della loro origine e del loro significato, da Serenade to a Cuckoo ad Aqualung, da Cat's Squirrell a Dun Ringill.
Perché, come dicevo, la voce di un gruppo rock non può che essere data dalle
loro canzoni. E questo vale soprattutto per una band la cui biografia non
prevede eventi eclatanti: Ian Anderson
e i compagni non hanno fatto uso sistematico di droghe (anzi, in generale, sono
piuttosto salutisti) e solo moderate quantità di alcol e sigarette hanno
accompagnato alcuni dei musicisti della band. Gli unici eventi che segnano in
negativo la storia dei Jethro Tull
sono la morte del terzo bassista John
Glascock, condannato da un'infezione dentale che andò ad incidere su una
malformazione cardiaca e il cambio di sesso del pianista e arrangiatore David Palmer che, dopo il decesso della
moglie, acquisì una nuova identità con il nome di Dee Palmer.
A questo punto, dato che
la narrazione del libro si arresta al 2009 e quindi non ci può aiutare, resta
solo da capire se i Jethro Tull esistano
ancora oppure no. Il sito Wikipedia dà la band defunta nel 2014, come si poteva
arguire, a suo tempo, dalla pubblicazione dell'album Thick as a Brick 2,
intitolato a «Jethro Tull's Ian Anderson». Neppure il sito web ufficiale dei Jethro Tull dissipa tutti i dubbi,
lasciando aperto uno spiraglio alla sussistenza della band, anche se i membri
attuali sembrano oramai dei prestatori d'opera al servizio dell'inossidabile Ian Anderson che, per la cronaca, è
nato esattamente venti anni prima di me. Ecco perché mi è sempre rimasto
simpatico.