sabato 21 luglio 2012

Auro Bernardi, Lo schermo di Dio

Auro Bernardi, Lo schermo di Dio, Le Mani, 2011, p. 195 € 16,00
Dunque (lo so che non si dovrebbe iniziare così un discorso), due italiani, due francesi, due danesi, uno spagnolo, un inglese, un polacco e un egiziano. Totale, nove europei, un africano e nemmeno un cineasta americano, in questa breve, magari parziale (manca Bergman e Bernardi sente la necessità di giustificare la sua assenza), rassegna di autori, relativa a Cinema e pensiero religioso, come recita il sottotitolo.
Non c'è da sorprendersi, soprattutto se si tiene conto di quanto scrive anche Leonardo Gandini, citando il critico americano Robert Ray, nell'Introduzione del recente volume Il cinema americano attraverso i film (Carocci, 2011), «"la tradizione dominante del cinema americano trova costantemente dei modi per avere ragione delle dicotomie", al punto che "il modello complessivo della mitologia americana" può essere individuato nel "rifiuto della necessità di una scelta"». E la ricerca di Dio quale bene infinito (almeno per come intendiamo Dio nell'accezione comune, ma anche teologica) comprende, come uno dei suoi momenti fondamentali, la scelta tra Bene (Dio) e Male (Satana, il peccato), magari attraverso quel concetto sempre discusso che risponde al nome di libero arbitrio.
Se nel cinema americano, di cui non dobbiamo dimenticare l'intima essenza di industria, principalmente quello classico, è più la necessità che la scelta a dominare gli eventi, è proprio della migliore tradizione del cinema europeo andare alla ricerca del sacro e interrogarsi sui confini del Bene e del Male, per discutere, talvolta fino al parossismo, dello scibile religioso, in maniera più o meno esplicita, più o meno criptica, dando adito ad interpretazioni diametralmente opposte, in alcuni casi perfino fuorvianti.
Auro Bernardi, ovviamente, esclude autori americani non per la loro provenienza geografica, ma in quanto tematicamente non rispondenti all'oggetto del suo libro, che si suddivide in tre parti, la prima dedicata a quei registi che l'autore chiama "i precursori" (Buñuel, Dreyer e Bresson), la seconda sui "teosofi" (Olmi, Godard e Chahine) e la terza, dedicata ai registi definiti "i predicatori", (Bellocchio, Greenaway, Kiéslowski e Von Tier). Di ogni autore analizza un film in particolare (per esempio, La via lattea per Buñuel, centochiodi per Olmi e Il Decalogo per Kiéslowski), senza tuttavia perdere di vista il complesso dell'opera di ciascun autore, nel quadro di una migliore comprensione del significato dei singoli film e della poetica dei registi esaminati. Particolarmente interessanti le analisi di alcuni cineasti da scoprire (Chahine) o da riscoprire, come Greenaway e Kiéslowski, un tempo osannati da tutti, oggi quasi dimenticati, se non dai cinefili più competenti.

sabato 14 luglio 2012

Joseph Conrad, Tifone

Joseph Conrad, Tifone, Einaudi, 2007, pp. 103, € 7,80.

Romanzo breve, almeno parzialmente autobiografico, come la maggior parte delle opere d'ambiente marinaresco dello scrittore d'origine polacca. Si tratta di un racconto che celebra la solidità di carattere di un comandante di una nave colpita da un violento tifone nel Mare Cinese. Mentre gran parte dell'equipaggio è messo fuori combattimento dalla forza degli elementi o perde la testa, il capitano MacWhirr, coadiuvato dai due collaboratori Jukes e Rout, riesce a tenere insieme l'imbarcazione sotto i ripetuti attacchi del tifone e a condurla, ormai ridotta ad un catorcio, in porto.

Con un linguaggio piano e calmo, che contrasta con la potenza dell'evento atmosferico descritto, Tifone si configura come un elogio delle virtù del buon comandante - che sa ascoltare prima di impartire ordini - e del buon funzionario dell'Impero Britannico.

sabato 7 luglio 2012

Vincenzo Consolo - Retablo

Vincenzo Consolo, Retablo, Mondadori, 1987 (2009), pp. 158, € 8,00.


Fuga e ricerca s'intrecciano in questo romanzo - viaggio di un pittore lombardo nella Sicilia settecentesca degli altari barocchi del Serpotta (che compare anche come personaggio), tra aggressioni dei briganti e strabilianti scoperte archeologiche, destinate a finire sui fondali marini.
Retablo è un romanzo di non formazione (il protagonista, alla fine, ammetterà di essere rimasto uguale a prima dell'avventura siciliana), raccontato da Consolo con linguaggio colto e popolare spesso, barocco sempre, con grande quantità di elencazioni (basta aprire una pagina a caso: «Lungo quella strada ancora s'aprivano botteghe, caffè, bottiglierie, ove servivano infusi, rombo, cioccolata, sorbetti, neve con gli sciroppi, miele di Xitta.», p. 135), come se la Sicilia, più che un luogo, un'isola, una nazione, fosse una somma di oggetti, una matassa, un retablo.