Leonardo Sciascia, L'affaire Moro, Sellerio, 1978
Opera letteraria o pamphlet a caldo contro un'intera
classe politica? Difficile rispondere, anche se ci proverò.
Vorrei premettere che non ho sempre provato simpatia
per le prese di posizione politiche di Leonardo
Sciascia, troppo ambiguo, in qualche caso, nel decidere da che parte stare,
quando è stata in gioco non dico la democrazia ma quanto meno la legalità. E
tuttavia non posso - non si può - non riconoscere a L'affaire Moro alcune importanti qualità.
La prima è indubbiamente
il coraggio di prendere una posizione netta sul "caso" a caldo, dopo
pochi mesi dallo svolgersi dei fatti del marzo/maggio 1978.
La seconda dote del libro è l'onestà intellettuale,
testimoniata in primis dalla premessa di non avere avuto alcuna simpatia né
politica né umana per Aldo Moro,
considerato esempio di trasformismo tipicamente democristiano, in altri tempi
si sarebbe detto anche della morale gesuitica, attestato da un conservatorismo
di fondo e da un insopprimibile attaccamento al potere, per di più ammantato di
fumose velleità progressiste, come documenta il discorso pronunciato da Moro alla Camera dei Deputati in difesa
del collega Luigi Gui, accusato di
corruzione nell'ambito del famoso Scandalo Lockheed (discorso riportato da Sciascia pressoché integralmente e
comunque nelle sue parti essenziali). La requisitoria dello scrittore siciliano
nei confronti del presidente della DC si arresta al 16 marzo 1978, giorno della
strage e del "prelevamento" (parola usata da Moro stesso) di Via Fani. Perché se il politico democristiano aveva
fino a quel momento incarnato i peggiori vizi del suo partito (e Sciascia, pur senza scriverlo
esplicitamente, sembra riconoscere alle Brigate Rosse di avere sequestrato la
persona, o meglio la personalità, giusta, più di Andreotti o Fanfani,
come pure era stato progettato), con la sua detenzione nella cosiddetta
«prigione del popolo» di Via Montalcini, acquista una sua grandezza,
soprattutto grazie alle verità che la sua inattesa situazione, pur nel suo
linguaggio paludato, gli consente di esprimere. E tale sua nuova grandezza
rifulge, in particolare, al confronto con gli altri politici italiani, con
particolare riferimento a quelli del suo stesso partito, paralizzati dalla
paura e comunque assai poco disposti a muovere un dito per liberare Moro dalle grinfie dei brigatisti.
Non ultimo merito dell'Affaire Moro è quello della provocazione polemica, del (si usava
dire) sasso nello stagno, dello stimolo alla discussione, nel solco di un altro
grande intellettuale, all'epoca scomparso non da molto. Non è un caso che il
libro si apra con una citazione/omaggio a Pier
Paolo Pasolini. Con quest'opera, piccola per mole, ma tutt'oggi ricordata, Sciascia sembra rivendicare a sé stesso
e agli altri che ne abbiano il coraggio, il ruolo dell'intellettuale che
interviene autorevolmente sui fatti del paese, anche con prese di posizione
scomode e provocatorie, proprio come faceva Pasolini sui giornali e in televisione. È un ruolo che oggi sembra
un po' in disuso, coltivato dal solo Roberto
Saviano e pochissimi altri: mi vengono in mente, con parecchi distinguo, soltanto
Aldo Busi, Pietrangelo Buttafuoco ed Erri
De Luca.
Sciascia
ha peraltro avuto la possibilità, in grazia della sua carica di deputato
(eletto nelle liste radicali), di partecipare ai lavori della Commissione
Parlamentare d'indagine sul Caso Moro ed infatti le edizioni successive del
libriccino sono integrate con la relazione di minoranza della Commissione
stessa, firmata dallo stesso scrittore siciliano.
Nel 1978 e negli anni successivi, L'affaire Moro ebbe l'effetto dirompente
di un pamphlet, di una sorta di J'accuse
a una intera classe politica, il cui molliccio e paludoso attaccamento al
potere comportava come corollario l'inefficienza degli apparati burocratici, polizieschi e
militari (i cui vertici, si scoprirà qualche anno dopo, erano in larga misura
iscritti alla loggia massonica P2), i quali, durante la prigionia di Aldo Moro, non vollero o non riuscirono
a cavare un ragno dal buco. Ed ecco che nel corso degli anni, durante i quali
si è scoperto molto del Caso Moro, ma soprattutto si è scoperto che non si è
saputo tutto (e tanto si deve ancora immaginare), il libro di Sciascia, mantenendo inalterata la
propria carica polemica, è diventato opera letteraria che smaschera, attraverso
la scrittura e l'osservazione attenta della realtà, l'anima opaca non solo di
una classe politica ma di un intero paese.