Giuseppe
Marotta, che non è il Direttore Generale della Juventus,
era un napoletano trapiantato a Milano, un intellettuale comunque legato alla
sua città natale, dove tornò anche a morire. L'oro di Napoli, titolo della sua
opera letteraria più famosa, è la pazienza dei napoletani, la dote che consente
loro di passare indenni, spesso anche allegri e sorridenti (almeno
all'apparenza), attraverso le avversità della vita. In questa composizione per
racconti, Marotta descrive una
miriade di personaggi a volte rassegnati e dolenti, ma inesorabilmente vivi,
che, pur sfiorando a più riprese il bozzetto, somiglia piuttosto a un mosaico,
le cui tessere hanno un senso soltanto se viste nell'insieme che vanno a
comporre.
La tecnica utilizzata dallo scrittore non è quella
di mettersi al di sopra dei propri personaggi, ma di porsi al loro pari, pur
conoscendone vita, morte e miracoli. Marotta
sembra stazionare nei vicoli di Napoli, quasi scostandosi al passaggio di
qualcuno dei personaggi descritti nel libro. Allora, l'autore si rivolge al
lettore, come per dirgli «lo vedi questo che passa? Adesso ti dico chi è...».
L'oro
di Napoli (1947) è titolo assai più conosciuto per il film
omonimo che ne trasse nel 1954 Vittorio
De Sica (ispirandosi, con licenze, ad alcuni degli episodi narrati da Marotta, il quale, per parte sua,
collaborò alla stesura del copione), che in quanto libro, ma costituisce una
lettura divertente, che dice molto del carattere eterno dei napoletani e delle
mille vite di Napoli, al pari di alcune opere di Eduardo De Filippo.