domenica 3 novembre 2013

Mattia Signorini, Ora

Mattia Signorini, Ora, Marsilio, 2013, pp. 221, € 17,00

La prima riflessione che sorge dopo avere letto Ora è che la narrativa italiana deve essere proprio messa male, se un editore importante come Marsilio pubblica un romanzo come questo.
Non avevo mai letto niente di Mattia Signorini e comprai Ora dopo avere visto e sentito lo stesso autore che parlava del proprio libro in una trasmissione televisiva. Ed evidentemente il giovane scrittore veneto è molto più bravo e convincente nel parlare che nello scrivere.
Non che Signorini non sappia scrivere, ma questo romanzo manca degli elementi che un buon romanzo deve avere, a cominciare dall'ispirazione, come se Signorini, al pari del suo protagonista, l'avesse scritto per tenere fede alle promesse fatte al proprio agente e per riscuotere i sostanziosi anticipi dell'editore. Manca poi la necessità, nel senso che si avverte un procedere forzato e difficoltoso, che si divincola ad ogni passo dall'impantanamento, grazie all'inserimento di personaggi inutili e di maniera.
Per essere un romanzo di formazione, insomma, manca quasi tutto, ed infastidiscono particolarmente le falle che si aprono nel contesto realistico, che in un romanzo non è elemento essenziale, a meno che l'autore, com'è il caso di Signorini, non voglia per l'appunto scrivere un romanzo realistico.
Si potrebbe pensare, a voler essere benevoli, che Ettore sia una figura cristologica, tali sono gli effetti benefici che il suo arrivo provoca per i personaggi che incontra al suo paesino d'origine, tutti buonissimi e sempre pronti ad aiutarlo. Ma sarebbe una raffigurazione messianica che, anziché divenire protagonista di una vicenda come quella evangelica (che, quella sì, era carne e sangue, oltre che spirito santo), sembra calata nell'immobilismo ingessato di un presepio.
Il buonismo che - contro la volontà dell'autore, c'è da giurarci, perché vorrebbe trattare d'altro - costituisce il nerbo di Ora è veramente stucchevole e fa venire alla mente un'ideologia ruralista di stampo paratelevisivo. La storia del ritorno di Ettore al paese natale contempla una serie di personaggi che da un lato sembrano non aspettare altro che lui arrivi oppure, sebbene sia stato via dieci anni (la metà di Odisseo, ma questo Ettore non è stato né in guerra né a peregrinare per il Mediterraneo), non lo riconoscono nemmeno. Quindi c'è la vecchia solitaria, che tutti considerano una mezza strega, la quale si affeziona quasi subito al Nostro. C'è la ex, inspiegabilmente mollata dal protagonista, ora rimasta ragazza madre, con un frugoletto di sei anni, ovviamente simpaticissima canaglia, che si affeziona anche lui immediatamente a Ettore. E poi gli amici, quello che gli sistema il Ciao, un ciclomotore dato praticamente per estinto a metà anni Novanta e che qui, invece, sfreccia come una saetta; l'altro che gli fa riallacciare la corrente elettrica, la signora un po' burbera che si occupa di vendergli la casa, un altro che fa il ristoratore e gli offre il pranzo, il pazzo del villaggio che si rivela una specie di Jimi Hendrix e così via.
Tutto questo, unito ad un finale da romanzo d'appendice, se non da fotoromanzo (genere cui rimandano alcuni dialoghi, davvero che non si possono leggere senza farsi cogliere dalla nausea), che fa cascare le braccia per mancanza di credibilità, mette in secondo piano il rabbioso tentativo di conquista della maturità e di un rapporto con il padre, seppure postumo, da parte del protagonista.