sabato 7 novembre 2015

Giovanni Bianconi, Eseguendo la sentenza

Giovanni Bianconi, Eseguendo la sentenza, Einaudi, 2007, p. 419, € 17,00.

Eseguendo la sentenza è un bel titolo, tratto dall'ultimo comunicato emesso dalle Brigate Rosse per annunciare l'omicidio di Aldo Moro, ma nei panni di Bianconi avrei intitolato il libro "niente di intentato". Sì, perché era questo il mantra ripetuto dai dirigenti democristiani durante i 55 giorni del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana. Era una formula che avrebbe dovuto coniugare la linea della fermezza e del rifiuto di ogni trattativa con le BR, con la volontà (ammesso che tale volontà ci sia mai stata e sarebbe interessante scoprire eventualmente da parte di chi) di tirare fuori Moro dalla cosiddetta prigione del popolo.
Se la locuzione «eseguendo la sentenza» è passata ad indicare la volontà di un gruppo terroristico di ergersi quale tribunale di giustizia popolare, il «non lasciare niente di intentato» rappresenta bene la condizione di una classe politica, quella democristiana soprattutto,  paralizzata dall'ipocrisia nel barcamenarsi tra gli alleati del Partito Comunista Italiano (i «berlingueriani», come li chiamavano le BR) e la famiglia del rapito, avanguardia di un paese che ne avrebbe voluto, prima di tutto, il ritorno a casa.
Senza voler negare a nessun titolo la piena e totale responsabilità degli autoproclamati esecutori di una sentenza che comportò prima la strage di cinque uomini delle forze dell'ordine (Via Fani, 16 marzo 1978) e poi l'omicidio a freddo di uno dei leader del partito italiano di maggioranza relativa (Via Montalcini, 9 maggio 1978), non si può negare che la formula « niente di intentato» sintetizza bene il coacervo di responsabilità, paragonabili quanto meno ad una omissione di soccorso, che unì la quasi totalità della classe politica italiana nei tentativi di non salvare la vita di Aldo Moro.
Giovanni Bianconi (del quale avevo letto l'ottimo Bravi ragazzi, sull'epopea della banda della Magliana) racconta quasi "la fredda cronaca" di quei 55 giorni, basandosi sui ricordi e sui diari di alcuni protagonisti e comprimari della vicenda: alcuni dirigenti della DC come Beppe Pisanu (all'epoca giovane parlamentare moroteo) e Corrado Belci (direttore del Popolo), i figli di Moro Giovanni e Agnese, la studentessa che proprio il 16 marzo del '78 avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea con il presidente democristiano come relatore. In chi ricorda di avere vissuto quel periodo della storia italiana, sulle pagine di Bianconi, quei giorni scorrono via inesorabili, come le ore successive all'ultima cena nella passione di Gesù, tra le normali notizie di cronaca e i resoconti del campionato nazionale di calcio, mentre i responsabili della politica del paese non lasciano niente di intentato per non impedire l'esecuzione della sentenza.

Dalla narrazione di Giovanni Bianconi emerge un quadro politico paralizzato, nel quale il PCI recita la parte dell'elemento intransigente, votato a distinguere nettamente la propria posizione da quella dei terroristi, discesi dalla medesima matrice marxista, ma che non potevano più essere benevolmente liquidati come «compagni che sbagliano». Dall'altro lato, la DC non poteva essere scavalcata da destra dai "berlingueriani", anche al cospetto degli alleati internazionali del nostro paese, in un contesto geopolitico ancora sostanzialmente di guerra fredda. In mezzo, ci furono i tentativi velleitari di smuovere la situazione messi in atto dal PSI di Craxi. E quei giorni passavano veloci attraverso le rughe sempre più profonde del segretario democristiano Benigno Zaccagnini, nell'inefficienza operosa dell'apparato poliziesco diretto da Cossiga, che dopo l'epilogo si dimise da Ministro degli Interni, in uno dei pochi gesti sensati della lunga carriera politica dell'ex presidente.