domenica 14 giugno 2015

Riccardo Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo

Riccardo Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo

Trattandosi di un romanzo italiano del 1927, a chi lo legga oggi, a quasi novant'anni di distanza, Il diavolo a Pontelungo non può non far venire in mente la canzone La locomotiva di Guccini. Il tema è l'anarchia ed i gesti estremi compiuti in nome di questo ideale. Ovviamente, l'ottica dalla quale si guarda al tema è, nelle due opere, praticamente opposta. Guccini, che compone la propria canzone all'inizio degli anni Settanta, ripercorre lo svolgersi - anche psicologico -  del gesto di un anarchico, dettato dalla disperazione e dalla rabbia, inevitabilmente destinato al fallimento. Il cantautore guarda al suo protagonista con un misto di nostalgia e malcelato compiacimento, ripensando alla sua azione potenzialmente catastrofica, con una punta di affettuosa ammirazione, per la coerenza verso un'idea in nome della quale si era disposti a sacrificare la vita. Bacchelli considera l'ideologia anarchica da tutt'altro punto di vista (pur considerando altrettanto impossibile ogni realizzazione dell'utopia anarchica) e non ci si dimentichi che scrive il proprio romanzo durante i primi anni del periodo fascista. Gli anarchici del Diavolo al Pontelungo sono descritti come un'accozzaglia di pericolosi cialtroni e non somigliano per niente ai fascinosi avventurieri cantati da Leo Ferré in un celebre pezzo da lui firmato.
Nella prima parte del romanzo, gli anarchici che si radunano presso la fattoria denominata La Baronata, nel Canton Ticino, sono presentati come ottusi idealisti (in particolare Michail Bakunin e Carlo Cafiero), assolutamente incapaci di confrontarsi con le esigenze pratiche poste dalla vita, quando non come profittatori per niente propensi a qualsivoglia attività lavorativa. In particolare, il capo politico e spirituale dell'anarchismo europeo in questo scorcio di XIX secolo - cioè Bakunin - è descritto come un mestatore infantile, infatuato dei piani rivoluzionari messi a punto a suon di parole d'ordine e codici segreti, un uomo, insomma, con in bocca sempre l'idea della bella morte, magari in cima ad una barricata, , ma sostanzialmente votato al fallimento di ogni e qualsiasi attività posta in essere.
E un fallimento, peraltro tragicomico, è anche l'impresa finale di una sollevazione anarchica a Bologna, città dotta e tranquilla, già secondo centro, fino a pochi anni prima, dello Stato Pontificio.

Suddivisa tra la prima parte ambientata nella campagna della Svizzera italiana e la seconda che si svolge nel capoluogo emiliano, la struttura del romanzo tende alla simmetria, con le due imprese - quella della Baronata e quella della sollevazione bolognese - alla cui testa viene posto Bakunin dai due alfieri dell'anarchismo italiano (Carlo Cafiero e Andrea Costa), destinate ad altrettanti sonori fallimenti, al centro delle rispettive due sezioni. Cafiero e Costa sono i simboli di un modo di essere italiani, pronti a tirarsi indietro per paura od opportunismo, un minuto prima dell'esplosione, dopo avere dato fuoco alla miccia. Ma Bakunin, vittima di un senile infantilismo e dei propri sogni di gioventù, ingenuo e vanitoso al tempo stesso, ci fa probabilmente la figura peggiore. Tanto che, all'epoca dell'uscita del romanzo, Bacchelli si dovette difendere dagli attacchi di un nipote dell'anarchico russo.