Riccardo Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo
Trattandosi di un romanzo italiano del 1927, a chi
lo legga oggi, a quasi novant'anni di distanza, Il diavolo a Pontelungo non può non far venire in mente la canzone La locomotiva di Guccini. Il tema è l'anarchia ed i gesti estremi compiuti in nome
di questo ideale. Ovviamente, l'ottica dalla quale si guarda al tema è, nelle
due opere, praticamente opposta. Guccini,
che compone la propria canzone all'inizio degli anni Settanta, ripercorre lo svolgersi
- anche psicologico - del gesto di un
anarchico, dettato dalla disperazione e dalla rabbia, inevitabilmente destinato
al fallimento. Il cantautore guarda al suo protagonista con un misto di
nostalgia e malcelato compiacimento, ripensando alla sua azione potenzialmente
catastrofica, con una punta di affettuosa ammirazione, per la coerenza verso
un'idea in nome della quale si era disposti a sacrificare la vita. Bacchelli considera l'ideologia
anarchica da tutt'altro punto di vista (pur considerando altrettanto impossibile
ogni realizzazione dell'utopia anarchica) e non ci si dimentichi che scrive il
proprio romanzo durante i primi anni del periodo fascista. Gli anarchici del Diavolo al Pontelungo sono descritti
come un'accozzaglia di pericolosi cialtroni e non somigliano per niente ai
fascinosi avventurieri cantati da Leo
Ferré in un celebre pezzo da lui firmato.
Nella prima parte del romanzo, gli anarchici che si
radunano presso la fattoria denominata La Baronata, nel Canton Ticino, sono presentati
come ottusi idealisti (in particolare Michail Bakunin e Carlo Cafiero),
assolutamente incapaci di confrontarsi con le esigenze pratiche poste dalla
vita, quando non come profittatori per niente propensi a qualsivoglia attività
lavorativa. In particolare, il capo politico e spirituale dell'anarchismo
europeo in questo scorcio di XIX secolo - cioè Bakunin - è descritto come un
mestatore infantile, infatuato dei piani rivoluzionari messi a punto a suon di
parole d'ordine e codici segreti, un uomo, insomma, con in bocca sempre l'idea
della bella morte, magari in cima ad una barricata, , ma sostanzialmente votato
al fallimento di ogni e qualsiasi attività posta in essere.
E un fallimento, peraltro tragicomico, è anche
l'impresa finale di una sollevazione anarchica a Bologna, città dotta e
tranquilla, già secondo centro, fino a pochi anni prima, dello Stato
Pontificio.
Suddivisa tra la prima parte ambientata nella
campagna della Svizzera italiana e la seconda che si svolge nel capoluogo
emiliano, la struttura del romanzo tende alla simmetria, con le due imprese -
quella della Baronata e quella della sollevazione bolognese - alla cui testa
viene posto Bakunin dai due alfieri dell'anarchismo italiano (Carlo Cafiero e
Andrea Costa), destinate ad altrettanti sonori fallimenti, al centro delle
rispettive due sezioni. Cafiero e Costa sono i simboli di un modo di essere
italiani, pronti a tirarsi indietro per paura od opportunismo, un minuto prima
dell'esplosione, dopo avere dato fuoco alla miccia. Ma Bakunin, vittima di un
senile infantilismo e dei propri sogni di gioventù, ingenuo e vanitoso al tempo
stesso, ci fa probabilmente la figura peggiore. Tanto che, all'epoca
dell'uscita del romanzo, Bacchelli
si dovette difendere dagli attacchi di un nipote dell'anarchico russo.