venerdì 8 giugno 2012

Thick As A Brick 2

Jethro Tull's Ian Anderson - Thick As A Brick 2 - What Ever Happened To Gerald Bostock? (2012)

Da irriducibile fan dei Jethro Tull, il dilemma atroce che mi si pone di questi tempi (so bene che in questo periodo vi è assai di peggio che arrovellarsi su simili questioni di lana caprina...) è se Thick As A Brick 2 sia un album dei Jethro Tull o meno. Perché mi si pone questo interrogativo? («Perché non hai niente di meglio da fare!» risponderanno i miei piccoli lettori. E invece...) Per il semplice motivo che l'album di cui sopra non mi piace e non piace praticamente a nessuno: solo per fare un esempio, Andrea Vascellesi, recensendolo sul sito ondarock.it, scrive che «è l'ennesimo prevedibile album dei Jethro Tull di cui potete fare a meno». Ma è proprio questo il punto: si tratta di un album dei Jethro Tull? Secondo me, no. Non lo è, anche se i recensori lo trattano come tale e addirittura lo stesso Vascellesi utilizza TAAB2 (come viene definito l'album per brevità) per affermare che esso «ufficializza ciò che in fondo si è sempre saputo: i Jethro Tull sono Ian Anderson». Ma, al di là di questa affermazione, che mi sembra difficilmente discutibile, l'interrogativo che ho posto rimane ed è, secondo me, importante dare una risposta.
Nessun altro membro dei Jethro Tull, neanche il fido chitarrista Martin Barre, avrebbe potuto arrogarsi il diritto di pubblicare il seguito di un album da annoverare tra i capolavori del rock anni '70, come il Thick As A Brick del 1972. E quindi lungi da me l'idea che non si possa confrontare il disco di quest'anno con la lunga suite di cui costituisce il "seguito". È stato proprio Anderson a riallacciare il suo cd del 2012 al primo TAAB, sottotitolandolo addirittura Che fine ha fatto Gerald Bostock? (riferendosi al giovane poeta che quarant'anni fa fu presentato come il supposto autore dei testi) e se ne deve assumere le conseguenze. La principale delle quali è proprio l'impari confronto con l'album del '72, geniale ed originale impasto di rock chitarristico e musica rinascimentale. Però, un conto è inserire un disco nella discografia dei Jethro Tull, tra pietre miliari come Stand Up (1969), Benefit (1970) ed Aqualung (1971), un altro e diverso discorso è annoverarlo tra gli album solisti di Anderson, al fianco di opere non certo fondamentali come The Secret Language Of Birds (2000) e Rupi's Dance (2003). A parere mio, è questa seconda opzione ad essere quella giusta, per almeno due motivi.
Il primo consiste nella ragione sociale dichiarata fin dalla copertina dell'album di quest'anno, il cui autore non sono i Jethro Tull di Ian Anderson (come sembra voler intendere la critica, di cui è esempio il competente Vercellesi), bensì "Jethro Tull's Ian Anderson", cioè Ian Anderson dei Jethro Tull. Sarebbe come dire - e lo si diceva anni fa in Italia, dove quel cantante divenne famoso proprio così - che un disco era di "Mal dei Primitives". Cioè l'album era di quel Mal, anche se il suo gruppo non esisteva più e comunque il suo cantante non ne faceva più parte. Ecco, sarebbe caso mai da domandarsi se i Jethro Tull esistano ancora quale gruppo con un'autonoma attività discografica (non si fanno vivi, in questo senso, dai tempi del poco significativo Christmas Album del 2003). Ma questo è un altro discorso.
Il secondo motivo è che in TAAB2 non ha suonato proprio Martin Barre, colonna portante dei Jethro Tull a partire dal secondo album, Stand Up (1969). Qui sostituito dal chitarrista tedesco Martin Opahle, Barre fa tuttora parte integrante dei Jethro Tull, insieme al batterista Doane Perry, che pure non ha partecipato alla realizzazione del cd del 2012. È pur vero che in TAAB2 suonano sia il bassista che il tastierista dell'attuale formazione dei Jethro Tull ed è pur vero anche che Ian Anderson aveva annunciato l'uscita dell'album attraverso il sito ufficiale della band, ma si deve prendere atto, come fa anche Wikipedia - sito enciclopedico che oramai fa testo -, che quest'album fa parte della discografia solista di Anderson e non dei Jethro Tull. Circostanza, quest'ultima, confermata anche dal sito ufficiale del gruppo britannico che, nonostante ormai abbini nell'intestazione il nome dell'agronomo del XVIII secolo a quello del polistrumentista scozzese, annovera tra gli album di studio della band quelli che vanno da This Was (1968) al citato Christmas Album del 2003.
Detto questo, si deve sottolineare come TAAB2 non sia un disco riuscito, dove a parte qualche pezzo in cui fa capolino l'hard rock dei tempi migliori (niente di originale, in ogni caso) e qualche bella flautata che cita il vecchio disco (per esempio in Old School Song), tutto o quasi è già sentito e pur non suonando moderno, non ha neppure il fascino dell'antiquariato o del vintage. E la mia impressione è che Ian Anderson non abbia più la voce idonea a continuare un'attività rockistica (anche per i problemi alle corde vocali di cui si vociferava una decina di anni fa), un po' come il collega Ian Gillan dei Deep Purple, che già da almeno un paio di lustri o tre ha dovuto rinunciare a cantare dal vivo cavalli di battaglia come Child In Time e Strange Kind Of Woman.

venerdì 1 giugno 2012

Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte

Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte, Bompiani, 2001, p. 192, € 7,90

Nel penitenziario situato su un'isoletta del Mediterraneo, alla metà di un Ottocento più verosimile che reale, quattro congiurati di alto livello stanno aspettando l'alba, quando verrà eseguita la loro condanna a morte, per avere cospirato contro la monarchia borbonica. Per passare la nottata, i quattro, che nel frattempo sono trasferiti nella cella dove già si trovava un altro prigioniero, un criminale comune anch'egli condannato alla pena capitale, decidono di raccontare ciascuno la propria storia. Ma sui morituri incombe un'altra promessa/minaccia, fatta dal direttore del carcere, nonché governatore dell'isola, Consalvo De Ritis soprannominato Sparafucile: se anche uno solo dei quattro, in segreto, scriverà su un pezzo di carta la vera identità del potente e misterioso capo della congiura antimonarchica, conosciuto con il nome in codice di Padreterno, sarà data salva la vita a tutti loro.
Le menzogne della notte possono rivelarsi ingannevoli per i protagonisti, ma anche per gli aguzzini, in questo romanzo, breve ma denso, del 1988 che, nella tecnica, ricorda la novellistica classica italiana che ha come maggiore esempio il Decameron, ma anche un capolavoro del cinema come Rashomon di Kurosawa, sorto dall'adattamento di due racconti dello scrittore Akutagawa (per i più giovani, si potrebbe rimandare all'esempio del più recente I soliti sospetti, successivo rispetto a Le menzogne della notte), in una struttura narrativa che, più che a cornice, è stata definita dallo stesso Bufalino come un fiume con i suoi affluenti, in quanto i singoli racconti dei vari personaggi confluiscono nel troncone della trama principale. Ma il meglio del romanzo, pur avvincente e sorprendente nei suoi sviluppi narrativi, consiste nella massa di riferimenti alla cultura sette-ottocentesca, dalla letteratura alla musica alla pittura.
Bufalino è uno scrittore di alta letteratura (com'è stato definito dal libraio da cui ho acquistato il romanzo), al tempo stesso enciclopedico e profondo. che adopera un linguaggio barocco e dà piena soddisfazione al lettore esigente.