venerdì 15 febbraio 2013

Il servo (e/o)

Robin Maugham, Il servo, e/o, 2000, p. 128, € 11,36
Il romanzo Il servo (1948) di Robin Maugham e il film Il servo (1963) di Joseph Losey, tratto dall'opera di Maugham, sono, nel rispettivo ambito, due capolavori. Pur nella sostanziale linearità della trama, tra romanzo e film cvi sono significative differenze. Per prima cosa l'autore, o meglio gli autori - Robin Maugham era uno scrittore/drammaturgo di estrazione sociale nobiliare e di tradizione intellettuale (essendo nipote del narratore William Somerset Maugham), dichiaratamente omosessuale, Losey era un regista americano convintamente comunista, costretto all'esilio dagli USA a causa del maccartismo e Harold Pinter, lo sceneggiatore, era un intellettuale ebreo di origini esteuropee, laureato in vecchiaia con il Premio Nobel per la Letteratura (2005), politicamente di sinistra - avevano impostazioni culturali diverse. Quindi, come conseguenza, nel film è accentuato l'aspetto di lotta di classe della scalata del "servo" Barrett che, pur già presente nell'opera letteraria, cedeva il passo alla preponderanza della tematica sessuale evidenziata da Maugham. Ulteriore differenza è la scomparsa, dal libro al film, del personaggio narrante, in favore di un'oggettivizzazione che lascia sulla scena quasi esclusivamente il servo e il padrone, in una sorta di aggiornata versione dell'eterna lotta tra due figure storiche, oltre che funzioni letterarie. Cambia, infine, lo stile: il romanzo dello scrittore inglese è di una chiarezza e di una linearità quasi crudeli, laddove il film di Losey assume un andamento sinuoso e quasi insidioso. Permane, in entrambe le opere, la struttura di una discesa agli inferi, rispetto alla quale il lettore, lo spettatore, ma nel libro anche il narratore, non può che rimanere attonito e impotente, conscio di avere assistito a un fenomeno quasi incomprensibile, ma che forse fa parte dell'evoluzione (o dell'involuzione) della società.
Si tratta di due opere che non si elidono a vicenda e tra le quali è difficoltoso fare paragoni e confronti, ma, per il piacere dell'intelletto, conviene leggere il romanzo e vedere il film.

domenica 3 febbraio 2013

Billy Budd

Herman Melville, Billy Budd, Feltrinelli, 2011, p. 148, € 7,00
Capolavoro della maturità, l'ultimo purtroppo, di Melville, che morì mentre stava appunto scrivendo questo romanzo. Nonostante la formale incompiutezza, quindi, Billy Budd è un testo contenutisticamente colto, storicamente documentato e stilisticamente maturo. La narrazione è spesso interrotta da digressioni (in misura minore rispetto agli altri romanzi dell'Autore, informa chi li ha letti) che inquadrano la vicenda dell'Avvenente Marinaio nel loro contesto storico, cioè quello della guerra navale tra l'Inghilterra e la Francia del Direttorio (1797), costellato da una serie di ammutinamenti, ma si concentra fin da subito sul protagonista. Che risulta ben presto come il perfetto capro espiatorio di situazioni che nemmeno conosce, il puro di cuore destinato a soccombere, l'idiota dostoevskiano, ma anche una figura di Cristo, un Cristo incolpevole sebbene non innocente, chiamato a penzolare da un pennone della nave, come il figlio di dio dalla croce.
Ma quello che conta, in ogni romanzo che si rispetti, più della vicenda narrata, è lo stile dello scrittore e Melville dimostra di essere uno scrittore grandissimo, con una propria personalità, che non ha molti pari nella narrativa americana dell'Ottocento, che pure non difetta di buoni autori. Qui la lingua di Melville si giova dell'ottima traduzione del poeta fiorentino Alessandro Ceni: valore aggiunto ad un'opera potentissima già di per sé.