È sempre il solito discorso dei figli d'arte, quello
sul peso d'un cognome che, se agli inizi può aprire qualche porta, a lungo
andare crea pressioni che possono essere difficili da gestire. Cristiano De André, sebbene i suoi
genitori Fabrizio ed Enrica si siano separati abbastanza presto, non solo ha la
musica nel sangue, ma l'ha sempre respirata nell'aria fin da piccolo. E
tuttavia, va detto, non ha il talento del padre. Però talento ne ha eccome.
Forse, nel corso degli anni, si è perfino permesso il lusso di sprecarne un
po'.
L'esordio di Cristiano avviene sotto l'egida del
padre Fabrizio De André, con il gruppo
dei Tempi duri. L'album, del 1982, si
chiama per l'appunto Chiamali tempi duri
e musicalmente si muove secondo le coordinate ben chiare dei Dire Straits. Sebbene derivativo, il
disco non è niente male, come dimostra il pezzo d'inizio Via Waterloo, a metà tra la musica della band di Mark Knopfler e la poetica di Fabrizio De
André. Le canzoni migliori dell'album sono in ogni caso Regina di dolore e Tempi duri.
Sciolta nel 1985 la prima band (che comunque sembra
essersi rimessa in piedi dal 2010), Cristiano De André tenta di far partire una
carriera solista, che stenta parecchio, visto che il primo album del neo
cantautore, del 1987, salvo una discreta canzone come America, è disastroso. Musica, testi, arrangiamenti ed
interpretazione sono totalmente insignificanti e soporiferi, tanto che il
Nostro può essere scambiato per un qualsiasi Ron o per uno dei tanti cantantelli degli anni Ottanta.
Per fortuna (ma ovviamente non è soltanto quella),
dopo tre anni esce L'albero della
cuccagna, cui contribuiscono Mauro
Pagani e Massimo Bubola, due
degli storici collaboratori di Fabrizio De André. La riuscita dell'album è
buona, anche grazie al lavoro dei due musicisti, e tuttavia questo non
sminuisce i meriti di Cristiano De André (del resto, anche babbo Fabrizio aveva
usufruito delle capacità di musicisti di valore, quali i due sopra citati, ma
anche Francesco De Gregori e Ivano Fossati). Davvero buone almeno un
paio di canzoni, quali Natale occidentale
e Senza famiglia.
Nel 1992 esce Canzoni
con il naso lungo che, pur lanciato dal valido singolo che dà il nome al
disco, è un album poco omogeneo e di valore diseguale: un paio di brani appena
discreti, come Invincibili e Nel grande spazio aperto, cover di Into The Great Wide Open di Tom Petty.
Sul
confine (1995) è un album che definire interlocutorio è già
eufemistico e che poggia sulle fragili gambe della canzone che titola il disco
(scritta insieme a Massimo Bubola), anche se a parere mio sono da preferire Di bolina e Cose che dimentico, il cui testo è da imputare a Fabrizio De André
e a Carlo Facchini, vecchio compagno
nei Tempi duri. A questo punto,
qualcuno comincia apertamente a domandarsi se il patrimonio genetico del padre
non sia ravvisabile in Cristiano soltanto nell'aspetto fisico (il giovane De
André somiglia molto, e in meglio, al padre), mentre non sembra essersi
trasmesso granché del talento musicale di Fabrizio.
Passano sei anni, periodo nel quale avviene anche il
decesso di Fabrizio De André, e questa
volta esce un buon album, che si incarica di smentire gli scettici. Si tratta
di Scaramante (2001), disco coerente
e con qualche canzone che spicca nel buon livello generale, come Buona speranza, Lady Barcollando e La
diligenza.
Nel 2003 arriva l'album riassunto, nel quale vengono
risuonati live in studio diversi brani che hanno punteggiato la carriera del
cantautore. Nonostante l'opportunità di fare un punto a capo, Un giorno nuovo non è granché, forse
anche per la scelta delle canzoni che non sempre ha privilegiato composizioni
di primissimo livello. Il titolo del disco è dato dal pezzo proposto da
Cristiano quell'anno a Sanremo.
Qualche problema caratteriale frena il cantautore
negli anni successivi, anche con il coinvolgimento in un episodio di cronaca
poco simpatico e che fa dispiacere a chi vuole bene, per qualsiasi ragione, al nome De André. È proprio questo nome che
consente il rientro di Cristiano sulle scene, con alcuni concerti nei quali il
"giovane" De André canta - e bene - le grandi canzoni del babbo, cui
ormai somiglia moltissimo anche nella voce. Escono così i due volumi intitolati
De André canta De André,
rispettivamente del 2009 e del 2010.
Sembra iniziata una nuova fase nella carriera
dell'ormai cinquantaduenne Cristiano De
André (lo sperano tutti, anche perché in una recente intervista ha
pronunciato la sintomatica frase «la mia vita è stata farmi molto male»), anche
se i tempi di produzione di un nuovo disco sono ancora molto lunghi. Si deve
infatti attendere il 2014 per ascoltare l'album Come in cielo così in guerra, di discreto livello, con una canzone
che non si dimentica, come Credici,
la quale si riallaccia alla migliore vena poetica e polemica (si direbbe
satirica, in senso classico) paterna, quella, per esempio, di La domenica delle salme.