venerdì 24 luglio 2015

Giovanni Testori, Il ponte della Ghisolfa

Giovanni Testori, Il ponte della Ghisolfa, (ed. varie)

Qualche anno fa, rivendicando in televisione la propria felice omosessualità, Aldo Busi si contrappose a Giovanni Testori, il quale da cattolico credente e praticante, viveva la propria condizione macerandosi interiormente per i sensi di colpa. Devo dire che questa condizione descritta da Busi si ritrova, almeno in parte, nei racconti che compongono Il ponte della Ghisolfa.
Ogni tanto mi capita, leggendo un libro, di cercar di sintetizzare il genere in poche parole: riguardo a questo di Testori, la definizione che mi si è formata in mente è quella di "romanzo d'azione interiore". In questo senso, Il ponte della Ghisolfa ricorda, fatte le opportune differenze, qualcuno degli scritti di James Joyce. E in questo senso si può anche affermare che andrebbe incontro a una delusione chi pensasse di trovare in questi racconti di Testori i personaggi di Rocco e i suoi fratelli. La derivazione del film di Visconti dai racconti dello scrittore milanese riguarda soprattutto l'ambientazione e le suggestioni. Sulla pagina come sullo schermo si muovono, sullo sfondo delle periferie di Milano, anime sofferenti e coscienze in tumulto, più che persone.

L'ultimo racconto (Lo scopo della vita), uno dei più belli, fa addirittura venire in mente il primo Moravia, quello degli Indifferenti (anche qui con tutta una serie di distinguo, soprattutto dovuti all'espressionismo linguistico testoriano), a testimonianza che l'inettitudine morale, in Testori, non è più patrimonio esclusivo della borghesia, ma oramai ne sono affette anche le classi popolari che affollano le periferie dell'Italia del boom economico.

martedì 14 luglio 2015

Giuseppe Ghigi, Le ceneri del passato

Giuseppe Ghigi, Le ceneri del passato, Rubbettino, 2014, p. 261, € 13,60

La Grande Guerra e il cinema: un mezzo espressivo giovane e dinamico come il cinematografo non poteva non intervenire su quello che fu, all'epoca, l'evento più portentoso della storia umana. Dapprima con i mezzi tecnici tipici del cinema (macchina da presa, attrezzi vari), ma in funzione di cinegiornali, solo successivamente in quanto cinema di finzione vera e propria.
In principio fu la propaganda, pro o contro l'intervento bellico, poi quella per l'arruolamento, poi la propaganda contro il nemico, infine la celebrazione dei vincitori.
Solo dopo diversi anni, si riesce ad avere una riflessione pacata sulla Prima Guerra Mondiale. Solo all'inizio degli anni Trenta si riesce a riflettere sull''immane tragedia, generalmente in senso pacifista (del 1930 sono All'ovest niente di nuovo di Milestone e Westfront 1918 di Pabst). Ma durerà poco, perché alla fine degli anni Trenta si ricomincia il ciclo con riguardo alla Seconda Guerra Mondiale.
Ghigi ci parla delle intenzioni di realismo e delle falsificazioni, spesso non volontarie, che il cinema ha praticato intorno al tema della Grande Guerra, portando ad esempio film dai tempi del muto fino ad opere degli ultimi anni (per esempio Passchendaele di Paul Gross e Capitan Conan di Bertrand Tavernier). Vengono così fuori tutte le tematiche di cui si parla quando l'argomento è la guerra e in particolare quella guerra: i milioni di morti, le trincee, gli assalti inutili, gli atti di eroismo e di vigliaccheria, la demonizzazione del nemico (tra gli alleati, per esempio, era regola identificare i Tedeschi con l'appellativo di Unni), il dramma dei reduci, dei feriti e, in particolare, dei mutilati, quello dei loro parenti e dei familiari dei caduti, il ruolo delle donne nell'economia bellica, i gesti di pietà e il pentimento per le atrocità commesse in combattimento.

Quello di Giuseppe Ghigi è uno studio che fornisce una linea interpretativa e di lettura su quasi cento anni di cinema incentrato sulla Grande Guerra, ma anche, ad altro livello, un possibile repertorio di proposte cinematografiche per avere uno sguardo complessivo su un evento tanto importante e spaventoso.