venerdì 24 luglio 2015

Giovanni Testori, Il ponte della Ghisolfa

Giovanni Testori, Il ponte della Ghisolfa, (ed. varie)

Qualche anno fa, rivendicando in televisione la propria felice omosessualità, Aldo Busi si contrappose a Giovanni Testori, il quale da cattolico credente e praticante, viveva la propria condizione macerandosi interiormente per i sensi di colpa. Devo dire che questa condizione descritta da Busi si ritrova, almeno in parte, nei racconti che compongono Il ponte della Ghisolfa.
Ogni tanto mi capita, leggendo un libro, di cercar di sintetizzare il genere in poche parole: riguardo a questo di Testori, la definizione che mi si è formata in mente è quella di "romanzo d'azione interiore". In questo senso, Il ponte della Ghisolfa ricorda, fatte le opportune differenze, qualcuno degli scritti di James Joyce. E in questo senso si può anche affermare che andrebbe incontro a una delusione chi pensasse di trovare in questi racconti di Testori i personaggi di Rocco e i suoi fratelli. La derivazione del film di Visconti dai racconti dello scrittore milanese riguarda soprattutto l'ambientazione e le suggestioni. Sulla pagina come sullo schermo si muovono, sullo sfondo delle periferie di Milano, anime sofferenti e coscienze in tumulto, più che persone.

L'ultimo racconto (Lo scopo della vita), uno dei più belli, fa addirittura venire in mente il primo Moravia, quello degli Indifferenti (anche qui con tutta una serie di distinguo, soprattutto dovuti all'espressionismo linguistico testoriano), a testimonianza che l'inettitudine morale, in Testori, non è più patrimonio esclusivo della borghesia, ma oramai ne sono affette anche le classi popolari che affollano le periferie dell'Italia del boom economico.

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