domenica 9 agosto 2015

Federico Maria Sardelli, "L'affare Vivaldi"

Federico Maria Sardelli, L'affare Vivaldi, Sellerio, 2015, pp. 304, € 14,00

Se oggi diamo per scontato un grande musicista come Antonio Vivaldi, l'autore delle Quattro stagioni, il merito è di due pubblici funzionari, Alberto Gentili, docente di Storia della musica all'Università di Torino, e Luigi Torri, direttore della Biblioteca Nazionale del capoluogo piemontese, che, nel periodo del fascismo, riportarono alla luce le opere manoscritte del Prete Rosso. Per lungo tempo, infatti, Vivaldi è stato un autore non dico sconosciuto, ma sicuramente dimenticato, considerato minore, rispetto ai contemporanei. All'epoca della morte, avvenuta nel 1741 a Vienna (dove sperava di rientrare nelle grazie della corte imperiale), Vivaldi era un musicista dimenticato da tutti, nonché ricoperto di debiti.
I suoi manoscritti, rimasti a Venezia, seguirono un itinerario tortuoso, prima di tornare alla luce e di potere essere acquisiti al patrimonio dello Stato italiano e quindi divenire fruibili da parte di tutti.

Federico Maria Sardelli, livornese, musicista (questa è la sua vera professione), oltre che scrittore, pittore ed umorista - e qualcos'altro che sicuramente mi sfugge - racconta questa storia con piglio da giallista e con la verve che gli conoscono coloro che hanno letto i suoi pezzi e le sue rubriche sul Vernacoliere e i suoi libri, tra i quali resta imprescindibile Il Libro Cuore (forse). Del resto, la vicenda dei manoscritti vivaldiani è di per sé un giallo ed anche piuttosto interessante. Sardelli controlla il proprio stile, attenendosi ai documenti d'epoca, ma non perde il sarcasmo che ne contraddistingue la scrittura. Ma qui l'autore satirico si fa di lato e cede il passo ai veri protagonisti del romanzo - che è anche un valido romanzo storico - cioè gli uomini che hanno riscoperto Vivaldi e la sua musica. E tra le righe ci viene ricordato di andare ad ascoltarla.

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