venerdì 10 maggio 2013

Ancora sul caso di Emanuela Orlandi

Ieri, giovedì 9 maggio 2013, La Repubblica ha dedicato tre paginone centrali al caso, mai risolto, della scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana quindicenne, avvenuta ormai trent'anni fa. Si legge il primo articolo dedicato all'argomento, firmato Paolo Rodari, e cascano letteralmente le braccia. Il pezzo, che indica come luogo di provenienza la Città del Vaticano, riporta inopinatamente in auge la pista del terrorismo internazionale. Il giornalista riporta dichiarazioni provenienti da una fonte anonima (e sai che autorevolezza, che novità, in questo caso!), proveniente proprio dall'interno del Vaticano. Scrive Rodari: «A sorpresa è proprio un monsignore del Vaticano che intende restare anonimo a entrare con lucidità entro il mistero. Lo fa trent'anni dopo». Di fronte ad affermazioni e/o informazioni di questo genere, verrebbe da esclamare: quale sorpresa! Quale coraggio! Quanto tempismo! Ma non basta, perché il pezzo pubblicato da Repubblica continuando a citare l'anonimo vaticano del sublime: «Lo fa senza avere scoop da rivelare. Ma mostrando semplicemente una capacità unica di tirare le fila. Dice: "Giovanni Paolo II qualche mese dopo la scomparsa di Emanuela disse agli Orlandi che si trattava di un caso di terrorismo internazionale. Che sia così, ne siamo tutti convinti, ma la domanda resta una: cosa intendeva il papa per terrorismo internazionale? Sono in molti oltre il Tevere a ritenere che la scomparsa sia legata alla Banda della Magliana e insieme ad ambienti malavitosi italiani». Tutto si fa, pur di allontanare i sospetti dall'interno del Vaticano. La pista del terrorismo internazionale fu creata per ingarbugliare le carte, da persone legate alla scomparsa di Emanuela ed anche da altri soggetti esterni (leggasi Stasi), interessati a creare caos nel campo occidentale. L'impressione è che l'anonimo del sublime sia l'ennesima voce poco intenzionata a far emergere la verità.
Presterei maggiore attenzione a quanto emerso, invece, dopo che un signore, attraverso la trasmissione televisiva di Raitre Chi l'ha visto? ha fatto ritrovare un flauto, che potrebbe essere quello appartenuto ad Emanuela Orlandi e che la ragazza aveva con sé proprio al momento della scomparsa. Anche di questi sviluppi parla Rodari, riportando il fatto che questo signore, di nome Marco Accetti, «recentemente si è autoaccusato di essere stato uno dei telefonisti del caso Orlandi». Per di più, questo Accetti era stato protagonista, sempre nel 1983, di un altro oscuro episodio culminato con la morte di un ragazzino di dodici anni, a Roma, episodio di cui si è occupata la puntata di Chi l'ha visto? dell'8 maggio 2013.
Per fortuna, direi, sullo stesso numero di Repubblica, tira le fila del caso il romanziere e magistrato Giancarlo De Cataldo, riducendo le ipotesi possibili per la scomparsa di Emanuela a due sole, scartando definitivamente quella del "terrorismo internazionale": la cosiddetta "pista Nicotri" (dal nome del giornalista Pino Nicotri, che ipotizza una Emanuela rimasta vittima di un gioco erotico all'interno del Vaticano) o quella della banda della Magliana (Emanuela rapita come arma di pressione nei confronti dello spregiudicato finanziere vaticano Paul Marcinkus, per somme mai restituite). A questa seconda ipotesi, che avrebbe avuto come corollario la sepoltura di "Renatino" De Pedis nella Basilica romana di Sant'Apollinare (quale risarcimento postumo per somme di denaro mai restituite dal Vaticano ai malavitosi), personalmente, non credo.
Restano due fatti inoppugnabili: Ali Agca non c'entra niente con la scomparsa di Emanuela Orlandi e gli dovrebbe essere impedito di parlare ancora della vicenda, anche perché finora non ha fatto che inquinare e depistare; secondo, la verità è sepolta e dev'essere ricercata in Vaticano: e la speranza, che è sempre l'ultima a morire, ma è forse anche l'ultima possibile, si chiama oggi Jorge Mario Bergoglio, alias Francesco I.

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