sabato 28 gennaio 2012

Piccolo grande uomo

Thomas Berger, Piccolo grande uomo, Fanucci, 2006, pp. 567, € 19,00.
piccolograndeuomoChi può non si perda questo capolavoro della letteratura americana, impreziosito, nell'edizione italiana, dalla stupenda traduzione di Luciano Bianciardi, che sa rendere scorrevole  la scrittura di un romanzo (pubblicato nel 1964) che è grande già di per sé. La storia è quella di Jack Crabb, personaggio inventato da Thomas Berger (Cincinnati, 1924), che si muove lungo la frontiera nel periodo in cui questa viene spostata sempre più a ovest, a danno delle popolazioni indigene, mano a mano emarginate nelle riserve, quando non addirittura scientemente sterminate. Berger ci racconta, attraverso l'ottica privilegiata di Jack Crabb, la nascita di una nazione appena uscita dalla Guerra di Secessione, con la fondazione di città oggi importanti come Denver, Colorado, sorte durante una delle molte corse all'oro. L'ottica del protagonista del romanzo è privilegiata, come dicevo, perché lui, bianco, a dieci anni si aggrega a una tribù di Cheyenne, gli "Esseri umani", come si definivano, che, per un malinteso (gli indiani volevano soltanto del caffè), ha ucciso suo padre. Crabb cresce con gli indiani, poi a sedici anni torna con i bianchi, dove viene adottato da un reverendo e dalla sua giovane e desiderabile moglie; qui Jack conosce l'amore, il tradimento e la disillusione (e conosce anche Lavender, uno schiavo negro liberato, che anela a vivere come i pellerossa). Jack, quindi, fugge di nuovo verso gli indiani, poi torna con i bianchi, sposa una bianca che viene rapita dagli indiani e poi tornato con questi, sposa un'indiana che viene uccisa dai soldati bianchi. Egli, dunque, vede il mondo con gli occhi del bianco e dell'indiano; non giudica né gli uni né gli altri, ma comprende che da questo scontro di civiltà (capita l'attualità del romanzo?) i pellerossa non potranno che soccombere: sono i bianchi che uccidono donne e bambini, non viceversa, e dopo ogni sconfitta, anziché sentirsi umiliati, tornano alla carica con forze sempre maggiori, e tradiscono la parola data agli indiani, infischiandosene dei trattati sottoscritti. Jack Crabb, durante la sua lunga vita (è lui stesso che la racconta a un giornalista, alla bella età di 121 anni), dice di avere incontrato alcune tra le leggende del West dal pistolero Wild Bill Hickock al generale Custer - al fianco del quale si trovò nella fatidica giornata del Little Big Horn - fino alla fuorilegge Calamity Jane: bugiardo o meno che fosse, nei primi 34 anni della sua vita fu guerriero Cheyenne, cercatore d'oro, truffatore, cacciatore di bisonti, giocatore di carte e mulattiere per l'esercito.
Ma oltre che il mito della frontiera, per la verità molto smitizzato dallo scrittore americano, conta questo personaggio Jack Crabb che, se non pensassi di incorrere in un pericoloso ossimoro, definirei un antieroe epico, e la scrittura di Thomas Berger, il quale in alcuni momenti delle quasi 600 pagine del romanzo, tocca vette di vera poesia, come quando narra la leggenda del guerriero Cheyenne Uomo Piccolo, che combatté contro i Serpenti anche privo della testa, o quando ci racconta della morte di Pellevecchia, che sembra quella di San Francesco.

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