lunedì 16 gennaio 2012

Sotto il culo della rana

Tibor Fischer, Sotto il culo della rana, Mondadori, 1997, pp. 317, € 7,80.
«Tutto ciò che aveva dovuto fare nei due mesi di permanenza alla Manifattura era stato, per pura curiosità, prendere le cifre, fornite dal Ministero, relative alle quantità che la fabbrica doveva produrre in base al Piano Quinquennale e dividere i totatli per il numero delle unità della fabbrica. Avendo così calcolato le quote di produttività unitaria, le aveva sommate di nuovo ottenendo la produzione fissata dal Piano. Quanto a ciò che avveniva effettivamente nello stabilimento, lui non lo sapeva e dubitava che qualcun altro lo sapesse o volesse saperlo. La maggior parte del poco tempo che passava in ufficio lo impiegava con un collega economista, Zalán, a lanciarsi fiammiferi (accesi sulla carta vetrata della scatola) da una scrivania all'altra, scommettendo su quali pile di fogli avrebbero preso fuoco.» (Sotto il culo della rana, p. 257)
Anche contro un titolo italiano che può rischiare di mettere in guardia qualche lettore, Sotto il culo della rana è un bellissimo libro, ironico, divertente e profondo, come raramente capita di leggere. La cifra, il substrato, di questo romanzo dell'inglese di origini magiare Tibor Fischer è l'incredulità che provano gli ungheresi, popolo di secolari tradizioni occidentali, quando si trovano sotto un regime comunista eterosiretto dalla superpotenza sovietica. "Quanto potrà mai durare?" si domandano increduli l'un l'altro, pensando alla massa di imbecilli che hanno assunto posizioni di potere grazie al partito marxista al potere. In questo contesto si inserisce la vicenda umana del protagonista Gyuri Fischer, che adombra chiaramente la figura del padre dello scrittore, transfuga dall'Ungheria nei giorni della repressione sovietica del 1956. Ma non c'è solo questo, in Sotto il culo della rana (sottotitolo: in una miniera di carbone, ad indicare una condizione di scalogna nera); si tratta, più in generale, di un romanzo di formazione di un ragazzo qualunque eppure speciale, un po' come tutti noi. Ed è incredibile la capacità di Tibor Fischer di far pensare al protagonista le cose che abbiamo pensato tutti alla sua età, ed allo stesso tempo di descrivere i fatti e le situazioni con un'ironia che sembra stare a metà tra il surrealismo leggero alla Örkeny e il sarcasmo tipico della letteratura inglese (del resto Fischer è nato a Stockport) che viene da Fielding e arriva fino a Burgess e agli autori contemporanei (CoeHornby). Complimenti anche alla bella traduzione (salvo un brutto refuso a pag. 295: «un'altro polacco») di Annamaria Biavasco e Valentina Guani. Personalmente consiglio caldamente questo libro.

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