sabato 28 gennaio 2012

E poi siamo arrivati alla fine

Joshua Ferris, E poi siamo arrivati alla fine, Neri Pozza, 2006, pp. 398, € 17,00. 
Anche le agenzie pubblicitarie hanno un'anima. Ed è l'anima pulsante di coloro che vi lavorano e, come tutti i lavoratori del mondo, aspirano a una posizione migliore (un vero ufficio anziché un cubicolo), sperano in una retribuzione più alta, temono di essere licenziati (lo spaventoso "volo alla spagnola"). Chiunque abbia lavorato in un ufficio, specie se di grandi dimensioni, sa che le dinamiche e i meccanismi descritti dall'americano Joshua Ferris (classe 1974) rispondono a ciò che effettivamente avviene tra i colleghi di lavoro. Era proprio questo che mi aveva spinto a comprare e poi a leggere questo romanzo che profuma di realtà. Ed è forse proprio questo - far capire al lettore che dietro alle campagne pubblicitarie che si vedono in tv, così come dentro ai grattacieli di settanta piani, vi sono persone vive che pensano e soffrono ogni giorno - che voleva dire il giovane romanziere, che non per caso narra tutta la storia con la prima persona plurale, senza identificarsi con nessuno dei suoi personaggi in particolare, ma comunicando che al di là delle invidie, delle ripicche e del mors tua vita mea che inevitabilmente si creano all'interno di un ufficio, i colleghi pensano e sentano come un'unica grande anima.
Non è un romanzo perfetto: a momenti sfiora la noia ed immagino che la sensazione sia accentuata per ch non abbia mai lavorato in un ufficio. Però si capisce che  Ferris, pur non avendo le qualità narrative di un Franzen o di un Lethem, possiede del talento di scrittore.

«Romanzo claustrofobico per il predominio dei rapporti interni all'ufficio e per la costante rilettura dell'esterno attraverso le vicende del lavoro, l'assoluta mancanza di un protagonista e l'ostentazione di un punto di vista collettivo rappresentano una visione narrativa che è rappresentazione di un ulteriore modo di sentirsi umani. La vita, quella vera, non inizia alla fine del lavoro, ai vecchi tempi segnalata con la sirena e oggi scandita con il beep del lettore di badge, ma dal tempo del lavoro che invade ogni altra ora del giorno, vampirescamente, fino a spegnere la vitalità di queste persone.» (Domenico GalloPULP libri #64)

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