sabato 28 gennaio 2012

Tutto il cinema di Pietro Germi

Mario Sesti, Tutto il cinema di Pietro Germi, Baldini&Castoldi, 1997, p. 303, € 6,72
Mario Sesti
Mario Sesti
Quella del critico Mario Sesti è una delle analisi più esaustive sull’opera di uno dei più importanti cineasti della nostra storia. Con documentati accenni alla biografia di Germi, il critico cinematografico passa in rassegna le opere del regista genovese e le analizza dal punto di vista estetico, le inquadra nel contesto storico che le produsse e le correla anche agli stati d’animo personali che condussero Germi stesso a realizzarle, o a realizzarle in un certo modo anziché in un altro. Il libro, oltre che di estremo interesse per l’appassionato di cinema, è di piacevole lettura, anche grazie allo stile, quasi narrativo, di Sesti, nel quale si avverte una certa ammirazione per il soggetto trattato. Ciò non impedisce, tuttavia, al critico di esercitare appieno le proprie prerogative, e quindi di criticare i film quando lo ritiene il caso, ovvero di difenderli dagli eccessivi attacchi dei suoi colleghi, quando appare abbastanza evidente che essi non sono animati esclusivamente da esigenze estetiche. L’excursus di Sesti, infatti, ci permette di farci un panorama sulla critica cinematografica italiana dal dopoguerra ad oggi, con gli scrittori di cinema che, appena risorti dal torpore del Ventennio, subito dopo la guerra furono quasi tutti animati da una sorta di furore neorealista, che li portò a fondare qualsiasi giudizio critico sul contenuto più o meno sociale delle pellicole che uscivano nei cinematografi. Con questi schemi, il cinema di Germi ha avuto, nel corso degli anni, alterne fortune di pubblico e critica, nonché variegatissime qualificazioni ed incasellamenti. Considerato all’inizio della carriera (Il testimoneGioventù perduta) come un paladino del neorealismo, appena mezzo gradino sotto a Rossellini e De Sica, sembrò assurgere, all’inizio degli anni Sessanta, al ruolo di alfiere della commedia all’italiana (in particolare con Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata). Uno dei meriti di Mario Sesti è di saper andare al di là delle etichette e, anche grazie alla distanza cronologica che gli fornisce un’ottica più svincolata dalle contingenze politiche e culturali, di attribuire, con equilibrio, la giusta importanza ad uno dei nostri maggiori registi di sempre, cui, peraltro, nessuno ha mai potuto negare una notevolissima perizia tecnica. Altro merito di Sesti è di non lasciarsi andare – forse anche per non condizionare il lettore/spettatore dal suo pulpito di esperto della materia – a giudizi troppo marcati e a termini enfatici come “capolavoro” e consimili. Anche se poi, va detto, qualche preferenza, qua e là sembra di coglierla, tanto che mi permetto di indovinare che i film germiani prediletti dal critico siciliano siano In nome della legge (1948), Il ferroviere(1955), Divorzio all’italiana (1961) e Signore e signori (1965).

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