giovedì 19 gennaio 2012

Il libro cuore (forse)

Federico Maria Sardelli, Il libro cuore (forse), I grandi autori del Vernacoliere, 2010, pp. 158, € 13,90
Per capire di cosa si tratti, basta leggere, sul retro copertina, le "Opere del medesimo autore", tra le quali si trovano Il provetto allevator di tafani, i racconti per fanciulli dal titolo Negri moderniIl giuoco della rava (Teoria & pratica)A spasso con Menelik (Ricordi coloniali)Corpi sciolti (Memorie di guerra), Il pasticcer frustone (Metodo).
Il libro cuore (forse) è il capolavoro del Sardelli scrittore (e pRoeta) e probabilmente un capolavoro di per sé. Qui il Sardelli satirizza il deamicisismo della nostra letteratura e della nostra "cultura" e ci riesce, facendoci letteralemnte sbellicare dalle risate, con racconti emblematici dal titolo (solo per citarne un paio) La mia vecchia maestra gobba e Il piccolo fantaccino zoppo.
Il libro è una riedizione, riveduta e corretta (o corrotta) della prima edizione del medesimo libro, uscito originariamente nel 1998, e contenente i pezzi già usciti sul Vernacoliere.
Dal sito Modo Antiquo (il sito di F.M. Sardelli e del suo mondo culturale):
Abnegazione.
L’anno è appena iniziato, ed ecco subito una cattiva notizia. Stamane, quando si fece sull’uscio cogli occhi gonfi di pianto il nostro buon bidello Mallio — quel poveraccio che perse due gambe e l’unghia lunghissima del mignolo nella battaglia di Lupino — tutti sussultammo. Recava con sé una circolare tutta inzuppa di lagrime e pinot grigio in cui s’annunziava che il nostro buon direttore era molto malato e non sarebbe venuto a scuola pei prossimi tre mesi.
Il nostro amato maestro colitico serrò le mascelle, si terse coll’indice l’angolo dell’occhio di sotto all’occhialetto e poi disse col suo vocione da basso tuba: — Oggi è un giorno di grande mestizia per la scuola intiera. E’ come se vostro padre fosse improvvisamente mancato, escluso naturalmente il Panicchi che tanto gli è già stiantato il babbo tre mesi fa. Quel grand’uomo del vostro direttore, buono e dal cuore nobile, che ogni mattina sollecito e premuroso bada che tutti voi entriate in classe e svolgiate con diligenza il vostro compito, da oggi non potrà più essere qui a vegliar su di voi. — E qui il Soffioni esplose in un pianto dirotto che trascinò tutta la classe in singulti ed ululati. — Egli, pensate — continuò il nostro buon maestro poliomelitico — è stato còlto dal un morbo maligno che ora lo rode; e pur negli spasmi del dolore il suo pensiero è comunque rivolto a voi fanciulli, che con le vostre bizze e intemperanze l’avete condotto a quello stato pietoso; egli s’è finalmente ammalato dopo aver speso tutto sé stesso per il vostro bene, razza di carogne ingrate, ed ora giace sur un lettuccio di dolore a combattere contro un male che non gli dà tregua, ma lo fa comunque pensando a voi, merdoni assassini che l’avete sulla coscienza. —
Dopo questa toccante commemorazione il nostro buon maestro cirrotico ci fece alzare tutti in piedi, compreso quello zoppino dello Zampieri, per recitare a voce alta il rosarione mistico incrociato a squadre per la guarigione del nostro amato direttore. Noi tutti lo snocciolammo colla voce rotta dal pianto e con il pensiero rivolto a quel cuore nobile. Ah, quanti cari ricordi mi s’affollavano ora nella mente! Quella volta, per esempio, che il Butini giunse a scuola in ritardo e, varcando affanato il tetro portone, andò a sbattere contro quella montagna d’uomo che ringhiava e schiumava da sotto al suo barbone nero: — Dove credi d’andare, brutto sacco di merda, lo sai che io ti distruggo, io ti rovino?! — Ma si sa ch’egli è solito dire ogni sorta di cose spaventevoli a’ fanciulli per ammonirli, ma poi non ha cuore di metterle in pratica; tant’è vero che al Butini gli appioppò solamente quattro manrovesci anellati sulla nuca paonazza, gli fece bere l’inchiostro e lo tenne per un’oretta in ginocchoni sulle ghiande con la matita da ornato nel culo. Oh, caro e zelante direttore, che sapevi tener la disciplina con l’umanità d’un padre!
Tra una lagrima e l’altra, mi sovveniva poi di quella volta che fu chiamata a scuola la madre del Rapetti perché il nostro amato maestro trombotico non ne poteva più delle intemperanze di quel discolo e stava per iscacciarlo affatto da scuola; ma quel grand’uomo del nostro direttore s’interessò al caso, e volle far venire quella povera donna nel suo ufficio in forma privata per vedere di cavar comunque del bene da un frangente sì tristo. Serrato dunque bene l’uscio, egli tirò fuori subito l’argomento e, senza tanti preamboli, glielo fece toccare con mano in tutta la sua durezza; a quel punto — giacché egli è sempre pronto ad ascoltare con pazienza il prossimo — volle che anch’ella ci mettesse bocca. E pur non pareva darsi pace, perché gli sembrava che il problema non fosse stato introdotto abbastanza approfonditamente. E poiché la disgraziata pareva lì per lì non darsene intesa, fu chiamato il solerte bidello Mallio che col suo bastone in mano, fuor dell’uscio, si era già appassionato alla vicenda. La tapinaccia fu infine condotta a ragione, ed il nostro buon direttore poté finalmente dirsi pienamente soddisfatto d’esser venuto a fondo della cosa; accertò la sciagurata che non aveva da star più in apprensione, poiché a quel punto il problema s’era completamente sgonfiato. La buona donna se ne uscì confusa e col viso coperto di rossore, certo per la vergogna d’avere un figliuolo sì discolo, ma con la consolazione che almeno per quella volta non sarebbe stato bandito da scuola. Ah, santo e paziente direttore che sapevi riportare la pace e la concordia!
Mi sovvenne infine di quella volta che un povero ciechino della seconda rimase appeso colla giubbina all’asta della bandiera che spenzola fuori dalla facciata, al terzo piano; sicuramente qualche compagno l’aveva attaccato lì per burla o per qualche giuoco innocente, ma tanto quell’egoista dava in istrepiti, sospeso a venti metri dal selciato, che tutto quel trambusto finì per richiamare il nostro buon direttore. Egli si precipitò in classe e, fattosi sulla finestra, s’accorse che quell’infelice stava ormai appeso all’asta della bandiera cor uno sdrucito lembo della misera giubbina. Allora col suo vocione da bombarda zittì tutti e disse: — Quel che voi avete fatto oggi non è una burla, ma un atto gravissimo che getta disonore e disdoro su tutti voi e sulla scuola intiera. Voi — e qui coll’indice puntò a ruota i visi impauriti di tutta la classe — avete compiuto un gesto oltraggioso ed infame contro ciò dovreste avere di più caro: l’onore della nostra amata bandiera — Tutti ristettero come di pietra col capo chino per la vergogna. Visto allora che la sua rampogna era andata a effetto, quel sant’uomo del direttore concluse: — Per questa volta non voglio sapere chi è stato il resposabile di questo gesto odioso; mi basterà che ciascuno di voi domani porti un fiore sulla tomba di Vittorio Emanuele in segno di riparazione. E poi tirate giù di là quel menomato, che continua ad oltraggiare il nostro sacro tricolore! — E subito il fido bidello Mallio scrollò giù, ajutandosi coll’asta della lavagna, quel disgraziato che non ne voleva sapere di togliersi di lì.
Caro, amato e venerato direttore, che col tuo esempio ci hai instillato le massime del retto agire! E ora soffri per cagion nostra!
Col cuore gonfio d’angoscia e cogli occhi rossi di pianto uscimmo tutti al sonare del finis. Solo il Batacchi rimase ancora un po’ in classe, perché col suo braccino morto è sempre l’ultimo a finire la cartella; allora il bravo bidello Mallio lo ajutò ad affrettarsi slegandogli dietro il cane Gorgo, il botolo ringhioso che il nostro amato direttore gli ha lasciato in custodia finché egli non sarà guarito. Alla vista di quell’animale vivace e scattante che correva dietro al Batacchi verso il portone d’ingresso, mi cangiò l’angoscia in isperanza e pensai: — Sì, amato direttore, tu tornerai presto tra noi! — E mi strinsi tra le braccia di mia madre.

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