venerdì 20 gennaio 2012

Meseta

Vittorio Cotronei, Meseta, Edizioni Clandestine, 2009, pp. 168, € 11,00.
Quando Zidane decise di lasciare la Juventus, la scusa fu che sua moglie voleva vivere in una città sul mare. Infatti, il calciatore si trasferì al Real Madrid. E Madrid, come si sa, è una città quale Parigi, Praga, Mosca... tutte bellissime capitali, ma il mare, semplicemente, non c'è. Salvatore, invece, si sente il mare dentro, ed è questo uno dei fattori principali della sua irrequietezza di giovane che vive nel calderone multietnico che è la Madrid dei nostri giorni. Una capitale spagnola che troviamo, all'inizio del romanzo di Vittorio Cotronei, sconvolta dagli attentati dell'11 marzo 2004, quelli che decretarono, nello spazio di un giorno, la fine dell'era Aznar e il sorgere dell'astro Zapatero. I tormenti di Salvatore sono quelli di uno dei nostri giovani, di chi appartiene ad una generazione che ha avuto grandi opportunità, grandissime speranze e, talvolta, delusioni di grandezza direttamente proporzionale. Si tratta di giovani quasi tutti laureati e quasi tutti, più o meno provvisoriamente, emigrati all'estero, chi a Madrid chi a Barcellona, Parigi o Edimburgo. Grazie al programma Erasmus e alle opportunità fornite dall'Interrail o dai viaggi aerei low cost, hanno già conosciuto l'Europa ed il mondo, ed hanno avuto modo di giudicarli migliori della nostra Italietta d'oggi. Altri tempi, quando a Montescudaio si parlava di Dandolo, quasi come se fosse un esploratore planetario del calibro del professor Livingstone o di Amundsen.
Vittorio non ha ancora la malizia dello scrittore di professione e scrive da giovane innamorato, oltre che della vita, di questo potentissimo mezzo che è la scrittura, padroneggiata con notevole abilità, tale da rendere la lettura scorrevole e mai noiosa. Per di più, Vittorio dimostra di essere anche un lettore attento, che sa far tesoro degli autori assimilati e reinterpretati in un suo modo del tutto personale: inMeseta vi sono omaggi espliciti, come quello all'amato Arturo Perez-Reverte, ed altri che risultano da suggestioni e richiami, come potrebbero essere quello a Bukowski (come lo scrittore nato in Germania demistificò il sogno americano, così Vittorio, nel suo piccolo, erode un po' del mito della Madrid orfana della movida anni Ottanta) e al Kerouac di Sulla strada e dei Sotterranei. Ma laMeseta, in quanto paesaggio anche interiore del protagonista, fa venire in mente anche il Sertao descritto da Guimaraes Rosa: si tratta di paesaggi dell'anima, più che di espressioni geografiche. E se il Sertao è quando meno te lo aspetti, anche la Meseta ti aggredisce nei momenti meno opportuni e sembra ritornare in eterno a ricordarti che, dovunque tu sia, lei è sempre là a circondarti con la sua solitudine.
E poi, però, esistono i luoghi della memoria, e Vittorio ce lo ricorda in alcuni passaggi - come quando il protagonista torna a casa per la prima volta - che fanno comprendere come, per quanto belle siano Madrid, la Spagna, Siviglia, i tramonti sull'Oceano, la mamma (e non è un richiamo retorico), la casa, il tuo paese continuano a rappresentare i valori primari che ti richiamano sempre a sé. Rappresentano i luoghi fisici e della mente che, per usare il linguaggio caro a Vittorio, sono i più grandi di tutti. Anche per i giovani "erasmiani".

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