sabato 28 gennaio 2012

In fuga

Massimo Ulivari, In fuga, La Riflessione, 2008, pp. 100, € dieci.
La prima cosa che si nota, in questo romanzo breve di Massimo Ulivari(livornese, quarantasettenne), è la quasi totale assenza di nomi. Tranne che la moglie del protagonista e il suo migliore amico, che hanno nomi fin troppo banali, Luisa e Gino, tutti gli altri personaggi sono indicati con dei soprannomi, che, stranamente, ricordano i nomi degli indiani d'America. La constatazione di questo modo di scrivvere, che quarant'anni fa sarebbe stato senz'altro originale (almeno in Italia), fa passare in secondo piano l'interrogativo sul perché e da che cosa il protagonista - io narrante stia fuggendo. Ma per rispondere a quest'interrogativo, è utile proprio l'assenza di nomi: si tratta di una fuga da tutto, in primis da una famiglia e da un lavoro egualmente alienanti. Ed è una fuga che si svolge, prima ancora che per le strade d'Europa, dentro la testa del protagonista, alienato psichico ed alcolista.
Personalmente, penso che In fuga sia un libro inusuale e coraggioso, sia per il modo in cui è scritto che per il tema affrontato. Il quale, però, avrebbe, a mio parere, avuto bisogno, come supporto, di una trama forse più solida e di qualche congegno narrativo meglio oliato e meno forzato. Intendo dire che il protagonista, un essere - comunque la si voglia mettere - mentalmente disturbato, finisce troppo spesso e troppo facilmente a letto con le donne, né si riesce ad accettare perché sua moglie continui a stare, anche con le bambine, insieme ad un individuo simile.
Devono, tuttavia, essere sottolineate alcune pagine felici, come quelle in cui, con ironia, si descrive la forzata (ma quanto, poi?) convivenza con un «puzzafiato», oppure quelle in cui il protagonista assapora la libertà in compagnia dei pacifici «peli verdi» tedeschi.

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