sabato 30 novembre 2019

Tommaso Labranca, "Progetto Elvira"

Tommaso Labranca, "Progetto Elvira", ed. 20090, 2013

Questo libro di Tommaso Labranca, scrittore milanese tropo presto scomparso (nel 2016), è un atto d'amore. Un atto d'amore verso un film, il suo film preferito, il film che ha visto più volte nella sua vita. Il film in questione è la commedia Il vedovo (1959) di Dino Risi, con Alberto Sordi e Franca Valeri, al proposito del quale devo dire di non avere mai incontrato nessuno che non lo conoscesse.
Prima di scrivere questo libro, Labranca ha rivisto il film ancora diverse volte, o meglio, lo ha dissezionato, come ammette nel sottotitolo "Dissezionando Il vedovo", visionandolo fotogramma per fotogramma. In questo modo, lo scrittore - che non è un critico cinematografico di professione né aspira ad esserlo - analizza per il lettore il contesto nel quale il film fu realizzato ed in cui fu visto nelle sale cinematografiche. Dalla prima sequenza, ambientata ai piedi della Torre Velasca di Milano fino all'ultima che ha luogo durante il funerale del protagonista, lo scrittore rivela riferimenti culturali e cronachistici dei momenti più ricordati e mette in risalto i particolari meno noti. Tutti, per esempio, ci ricordiamo dell'appellativo con il quale l'Elvira si rivolge al marito («cretinetti!»), ma non tutti ricordano o sanno che la figura di questo spiantato industriale romano trasferitosi a Milano era ispirata a Giovanni Fenaroli, protagonista all'epoca di un celebre caso di cronaca nera.
A me, del Vedovo, erano sempre rimasti in mente la sequenza della veglia funebre nel casale di campagna, con la vecchietta seduta che ad ogni passaggio di Alberto Sordi mormora «era tanto bbuona!» e la frase finale della moglie rediviva «cosa fai, cretinetti, parli da solo?», nonché lo schiaffo di rabbia e frustrazione affibbiato dal protagonista all'allampanato giovanotto accompagnato dalla madre alla festa per il ritorno dell'Elvira.
Tommaso Labranca (1962-2016)
Labranca ci fa notare altri mille particolari significativi per inquadrare un'epoca, un modo di pensare, un momento e un luogo (il boom economico là dove inizia e dove più prospera) della storia italiana. Lo scrittore, con minuzia ma senza pedanteria, smonta le sequenze, le rimette in ordine cronologico laddove non lo sono, legge i giornali sfogliati dai personaggi e commenta le notizie su di essi riportate, analizza i vestiti indossati, le automobili guidate, le sigarette fumate e i quadri appesi alle pareti, per ricavarne elementi del carattere delle varie figure che si muovono nel film. Film che potrà anche essere squilibrato nella sua struttura, come diversi critici non hanno mancato di far notare, ma che conserva intatto tutto il proprio fascino satirico (nel vero senso della parola), anche quando, nel finale, prova a diventare meccanismo ad orologeria. Ed è interessante notare che, al pari di un altro film della stessa epoca (I soliti ignoti di Monicelli), il perfetto meccanismo escogitato dal protagonista fallisce perché è lasciato alla realizzazione di quattro incapaci, il Nardi stesso e i tre pasticcioni di cui si è circondato il medesimo megalomane protagonista: lo zio, il marchese Stucchi e il tecnico tedesco Fritzmayer. Questo di Labranca è un libro intelligente (che si apprezza anche nei punti in cui non si è d'accordo con l'autore), perché fornisce una miriade di spunti di riflessione e di motivi per rivedere ancora una volta ed apprezzare di nuovo il film di Risi con le disavventure del cretinetti per antonomasia.

Una scena del film "Il vedovo"

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