mercoledì 3 ottobre 2012

Il potere e la gloria

Graham Greene, Il potere e la gloria, Mondadori, 2002 (1940), pp. 265, € 9,00.

«Semel abbas, semper abbas» dicevano gli antichi. Abate per una volta, abate per sempre. Così sono anche i preti del Messico rivoluzionario degli anni Trenta, dove per decreto governativo è stato abolito il clero, costretto ad abiurare la propria professione di fede e di vita consacrata, avendo come uniche alternative la fuga o la fucilazione. Cattivo prete, il padre Juan, protagonista del Potere e la gloria, decide di resistere e di fuggire di fronte alla determinazione di un tenente della milizia di catturarlo per metterlo al muro. Braccato dalle autorità e perseguitato da un rimorso inamovibile per i gravi peccati commessi, Juan fugge attraverso un paese ostile, che nasconde insidie ad ogni passo, poiché sulla sua testa pende una taglia che fa gola ai campesinos miserabili che incontra sulla sua strada. Considerato un traditore da parte delle autorità messicane, il prete sa di esserlo nei confronti della propria missione sacerdotale e quindi è consapevole di meritare la pena capitale che è stata decretata per lui. Attraverso la figura di questo prete, Greene, inglese convertito al cattolicesimo intorno ai ventidue anni, descrive l'eterna lotta tra bene e male e riscopre la fondamentale tematica religiosa, che attraversa la storia del Cristianesimo in tutta la sua lunghezza - partendo da Sant'Agostino e Pelagio e passando per Lutero ed Erasmo da Rotterdam - della predestinazione e del libero arbitrio.
Il potere e la gloria sono due termini che dovrebbero contraddistinguere rispettivamente lo Stato e la Chiesa, oppure sono due caratteristiche che denotano in negativo il protagonista, miserabile nell'aspetto e nell'animo. Ma questa miseria umana che lo accompagna convive con l'orgoglio, che lui stesso considera un ulteriore peccato, di sentirsi, pur nel pericolo, ancora e sempre un prete: semper abbas, dunque.
Accanto alle tematiche forti, che si appoggiano ad un personaggio particolare (che abbina ai difetti consueti del clero secolare la degradante assuefazione all'alcol), inserito in un contesto storico del tutto eccezionale, si spande la maestria artistica dello scrittore, che si insinua come un pungolo dentro la psiche e dentro l'anima del protagonista, e culmina in pagine d'inusitata potenza, come quelle in cui è descritta la notte trascorsa dal protagonista in carcere, fra tentazioni di cedere alla paura e pulsioni al martirio, o quelle nelle quali si vede il prete costretto dalla fame a massacrare di bastonate una povera cagnetta scheletrica e malata per sottrarle l'osso che stava sgranocchiando.

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